La maggioranza renziana si rifiuta di votare il sostegno al governo Gentiloni fino al 2018

di LUCA DELLA MONICA – La Direzione del Partito democratico ha approvato a larga maggioranza (107 sì, 12 no, 5 astenuti) l’ordine del giorno della maggioranza renziana che convoca l’Assemblea nazionale del Partito per sabato o domenica prossima con il compito di indire il congresso, dopo di che si punta andare ad elezioni politiche anticipate. E’ stata invece impedita la votazione di un ordine del giorno della minoranza che – oltre ad alcuni argomenti sulla situazione politica – proponeva di confermare il sostegno al governo Gentiloni fino alla scadenza della legislatura. A chiedere che tale votazione non venisse effettuata è stato Piero Fassino, facendo notare che, se la maggioranza avesse bocciato questa seconda mozione avrebbe espresso implicitamente la sfiducia al governo targato Pd presieduto da Gentiloni.

E’ questo il veleno in coda alle oltre 4 ore di riunione, aperte da una lunga relazione di Matteo Renzi, che, contrariamente a quanto previsto alla vigilia, non ha presentato le dimissioni, rinviandole, eventualmente, alla riunione dell’Assemblea nazionale tra una settimana.

Lo scopo è di  accelerare i tempi per il congresso, che Renzi vuole anche rapido in modo da ratificare la sua riconferma a segretario e, di conseguenza, la riproposizione della sua candidatura a capo del governo in elezioni politiche anticipate da far svolgere al  più tardi in settembre.

Questo l’esito della riunione, svoltasi nella sala congressi di via Margutta, con alla presidenza, seduto accanto a Renzi, Paolo Gentiloni e in sala il ministro dell’Economia Padoan, che – dopo la relazione del segretario – si sono allontanati.

Renzi ha parlato per circa un’ora, divagando su temi generali e rifuggendo da una analisi seria delle cause della sua sconfitta referendaria, sorvolando sullo stato disastroso del partito e sulla distanza che sempre più lo separa dalle classi sociali vittime dell’aggravamento delle diseguaglianze avvenuto proprio nei tre anni del suo governo.

Schivando la parola dimissioni, Renzi ha parlato di “chiusura di un ciclo”, ma ha lasciato intendere esplicitamente di non voler mollare il controllo del partito per poter ritentare la scalata del governo.

Pochi gli interventi a suo sostegno da parte di coloro che in conclusione hanno votato la mozione a suo favore, mentre hanno preso la parola sia esponenti delle minoranze – Cuperlo, Rossi, Speranza, Bersani, Michele Emiliano – sia esponenti dell’area governativa non di stretta osservanza renziana, come i ministri della Giustizia, Orlando, e dell’Agricoltura, Martina. Questi ultimi hanno dichiarato di concordare con la richiesta degli altri quattro di far arrivare il governo fino alla scadenza naturale, in modo che possa affrontare i problemi urgenti del paese, e in modo che il congresso si possa svolgere dopo l’approvazione della nuova legge elettorale e coinvolga tutti gli iscritti su programmi e prospettive del partito, e, come ha detto in particolare Orlando, evitando che il congresso si svolga contemporaneamente alle elezioni amministrative di primavera.

Ma gli argomenti sensati e seri non hanno trovato udienza in un’aula muta e sorda.

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