REFERENDUM COSTITUZIONALE/ Un NO al pasticcio e all’autoritarismo

Monica Gregoridi MONICA GREGORI* – Una riforma costituzionale dovrebbe avvenire in uno spirito costituente, e cioè una sorta di alleanza tra le forze politiche che, con responsabilità, modificano la Carta Costituzionale nell’interesse del Paese. Purtroppo tale spirito non c’è, è mancato sin dall’inizio della scrittura del testo in quanto presentato arbitrariamente dal governo al parlamento, quando invece la revisione costituzionale, in una repubblica parlamentare, compete esclusivamente alle Camere.

Durante l’esame del testo avvenuto in questi mesi, sia le opposizioni che alcune sensibilità interne al partito che rappresenta la maggioranza di governo, hanno tentato di lavorare in modo costruttivo al fine di migliorare la riforma; ma ciò è stato impossibile a causa di un accordo extraparlamentare che veniva prima del Paese. Contemporaneamente e poi successivamente alla rottura del patto succitato, l’impossibilità di migliorare il testo è venuta da un’arroganza senza precedenti che ha fatto sentire molti membri del parlamento più saccenti dei nostri padri costituenti, al punto di dire, a partire dal presidente del Consiglio, che tale riforma non mina le basi democratiche.

Purtroppo il testo dice altro. Nella riforma del Titolo V lo sbilanciamento introdotto nei poteri tra Stato e Regioni rischia di portare ad un vero e proprio neo-centralismo; si tolgono alle Regioni le competenze sui trasporti, energia, politiche sociali, istruzione, tutti capitoli di intervento fondamentali per lo sviluppo del Paese, ma si sa che su questi temi per il governo sviluppo significa privatizzazione…e non solo! Significa accordi con i poteri forti: l’ultimo esempio sta nella sconcertante storia della ex ministra Guidi e l’invito del governo a non andare a votare al Referendum del 17 aprile.

Le Regioni di fatto sono depauperate del proprio potere legislativo in quanto il governo, in base a tale riforma, può legiferare anche in materie di competenza regionale.

Il presidente del Consiglio nell’aula di Montecitorio – che ha voluto trasformare in un talk show, il suo talk show – umiliando la storia spiegato che ciò serve a rendere omogenea la legislazione in tutto il territorio nazionale, il non fa altro che creare un forte squilibrio di poteri, che umilia la Regioni.

Nè si può tralasciare la pasticciata (e falsa) abolizione delle Province, in cui, per quanto riguarda per esempio la Regione Lazio, il sindaco metropolitano non viene eletto direttamente dai cittadini della ex Provincia e i candidati consiglieri metropolitani provenienti dalla ex Provincia hanno possibilità di elezione solamente se fattivamente e concretamente appoggiati da almeno un consigliere cittadino, a causa dei quozienti previsti nella legge. E questo sarebbe il presunto “rafforzamento democratico”, talmente democratico che gli elettori non avrebbero alcuna voce in capitolo, alcun potere di scelta.

In realtà tale riforma calpesta la sovranità popolare: lo si evince tra l’altro dalla composizione del nuovo Senato (con i senatori “eletti” dai Consigli Regionali e non più dai cittadini), e ancor più dal combinato disposto con la legge elettorale “Italicum” che assegna un abnorme  premio di maggioranza alla lista di un partito che può godere del sostegno anche di una esigua percentuale di elettori.

E bisogna aggiungere che nel Senato disegnato dalla riforma la scadenza di mandato non coincide mai tra i suoi componenti, il che vuol dire che – poiché esso avrebbe tra le sue competenze anche la modifica della Costituzione – ci si troverebbe, in tale circostanza, dinanzi ad un pasticcio normativo inammissibile.

Questi ed altri motivi hanno portato le opposizioni ad uno scontro così aspro con il governo; questi punti hanno portato alla presentazione di centinaia di emendamenti, a numerose e lunghe sedute, non certo perché il governo voleva confrontarsi come il premier ha voluto far credere.  Il confronto non c’è stato, chi voleva migliorare il testo non è mai stato ascoltato, si è andati avanti con arroganza, addirittura eliminando i problemi con sostituzioni forzate in Commissione Affari Costituzionali e votando di notte senza le altre forze politiche, quando invece si era suggerito di fermarsi, di certo non per far naufragare la riforma, perché bisogna smetterla con l’assurdo dibattito tra conservatori e riformisti, ma per aprire un dibattito ed un confronto degni e seri  su una materia così importante e delicata. E invece il presidente del Consiglio ha accusato l’opposizione di scappare, quando in realtà l’unico a scappare è stato proprio lui, tenendo sotto continuo ricatto il Parlamento con il voto anticipato e trasformando il Senato in un mercato, una compravendita di voti, che ha modificato di fatto la maggioranza di governo.

Se qualche piccolo punto si è riusciti a migliorare è stato grazie alla determinazione delle opposizioni e di chi non si è piegato al volere del “sovrano”.

Ora si tenta di “agganciare” il Referendum alle sorti del capo del governo; ma gli italiani ad ottobre dovranno votare no per fermare una riforma scellerata che porta ad un presidenzialismo di fatto, accentrando i poteri nelle mani di una sola persona. Non si dovrà permettere alcuna stortura nei confronti di uno strumento democratico come quello del Referendum ed attraverso esso bisognerà salvaguardare la democrazia, la libertà e la dignità nate dalla Resistenza al fascismo.

Voglio ricordare perciò le parole con cui Piero Calamandrei si rivolse ai giovani nel gennaio del 1955: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione».

Sarebbe il caso che anche il capo del governo se ne ricordasse e che se ne ricordino gli italiani quando saranno chiamati ad esprimersi con il referendum.

*Monica Gregori è deputato di “Sinistra Italiana” 

dopo essersi dimessa dal Pd

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