Quel verme solitario nella pancia dell’Unone Europea

di SERGIO SIMEONE* – Spesso usiamo paragonare una persona ad un animale per illustrarne i tratti caratteriali: è fedele come un cane, è furbo come una volpe, è infido come una serpe. Se dovessi paragonare Viktor Orban a un animale il primo che mi viene in mente è il verme solitario (tenia solium). Questo parassita, come sappiamo, si insedia nella pancia di un uomo, gli succhia le sostanze vitali per vivere e crescere facendo, al tempo stesso, l’organismo che lo ospita. L’unico modo per fermare la sua azione nefasta è riuscire ad espellerlo.

Non diversamente si sta comportando infatti il dittatore ungherese. Si è annidato nella pancia dell’Unione europea, il PPE, e da quella posizione succhia le energie migliori di questo organismo sotto forma di cospicui contributi che riesce ad ottenere. Ma in cambio lo depaupera delle sue doti che rappresentano la  stessa ragion d’essere dell’Unione: la solidarietà tra i popoli e l’espansione della democrazia. Tutti sono consapevoli del suo ruolo deleterio, ma nessuno riesce ad espellerlo, a cominciare da chi governa la “pancia” dell’UE, i dirigenti del PPE.

Ciò che sta facendo Orban in questi giorni ha dell’inaudito. Il capo di uno Stato che ha la popolazione della Lombardia, nel pieno di una crisi economica devastante che ha messo in ginocchio l’economia di un Continente abitato da mezzo miliardo di persone, si assume la responsabilità di bloccare l’erogazione di investimenti deliberati dalle massime autorità comunitarie (Consiglio e Parlamento europeo) senza i quali ci sarebbero  milioni di lavoratori disoccupati e  conseguentemente milioni di famiglie ridotte alla fame. E fa tutto questo perché rivendica il diritto di non essere disturbato mentre opprime il suo popolo calpestando i principi fondamentali di ogni liberaldemocrazia (l’autonomia della magistratura e la libertà di stampa).

Si sa, per la verità, che dopo aver tentato con le blandizie di modificare  il suo comportamento, la Commissione europea sta ponendo in essere un piano cosiddetto B per tagliare fuori Orban ed il suo omologo polacco dai finanziamenti del recovery fund. Si sa anche che Manfred Weber, il capogruppo dei popolari al Parlamento europeo sta ancora una volta tentando di espellere dalla “famiglia” dei popolari il dittatore ungherese. Ma sarebbe comunque sbagliato trattare il caso come uno spiacevole incidente da superare in qualche modo con un escamotage per tornare a far funzionare le istituzioni europee come prima. Il caso è così grosso e scandaloso che deve indurre ad affrontare in maniera radicale il problema di fondo. Che è quello di superare il principio della unanimità per assumere alcune decisioni, togliendo a piccoli Paesi la possibilità di ricattare e bloccare con i loro veti il funzionamento degli organismi europei. Purtroppo il semestre della presidenza tedesca volge al termine e la Merkel non è riuscita ad imprimere (forse anche a causa della pandemia) quella spinta in direzione della federazione europea che ci si aspettava. Speriamo che entri nell’agenda del prossimo presidente, il bravo premier portoghese Antonio Costa.

In questa vicenda ciò che meraviglia è il silenzio dell’Italia e per essere più precisi  delle forze politiche di maggioranza. Meraviglia per due ragioni: perché l’Italia sarà il maggiore beneficiario dei fondi del recovery fund e perché si perde l’occasione di far notare alla pubblica opinione quanto sia deprecabile e pericoloso il sovranismo, che mette i Paesi l’un contro l’altro e impedisce la solidarietà tra popoli. Non vorremmo che l’Italia, con il suo silenzio, stia ricompensando Orban per il suo sostegno a Conte durante la lunga e dura battaglia sostenuta dal nostro premier contro i Paesi “frugali” al Consiglio europeo di luglio.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindaco Scuola della Cgil

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