Può essere “violenza privata” parcheggiare nel posto riservato a un disabile

di GIOVANNI D’AGATA* – È un atto d’inciviltà e insensibilità  quello di parcheggiare la propria auto occupando lo stallo riservato ai disabili, che normalmente costituisce anche un illecito amministrativo sanzionato espressamente dal codice della strada. Ma l’ultima decisione della Cassazione Penale  costituisce un precedente che dovrebbe far preoccupare anche per possibili risvolti penali, giacchè la sola multa può non costituire un deterrente efficace per soggetti che  sono soliti occupare i posti riservati alle persone con gravi problemi di salute.

È la sentenza 17794/17, pubblicata il 7 aprile dalla Suprema Corte a prendere in esame il caso di un uomo condannato in secondo grado per il reato di violenza privata stabilito dall’articolo 610 del codice penale, perché parcheggiava la sua auto per diverso periodo di tempo al posto riservato espressamente a una donna affetta da gravi patologie. L’imputato aveva anche tentato di scaricare la responsabilità sui suoi familiari cui avrebbe prestato la propria vettura, ma l’alibi non ha retto di fronte alla 5° sezione penale della Cassazione, che ha confermato la condanna per violenza privata. I giudici nella fattispecie hanno evidenziato la distinzione tra chi parcheggia il proprio veicolo al posto dedicato ai disabili e chi lo fa in uno spazio appositamente riservato a una persona specifica.

La condotta dell’imputato «avrebbe integrato la sola violazione dell’articolo 158, comma 2, Cds che punisce, appunto, con sanzione amministrativa, chi parcheggia il proprio veicolo negli spazi riservati alla fermata o alla sosta dei veicoli di persone invalide». Ma, in questo caso, «quando lo spazio è espressamente riservato ad una determinata persona, per ragioni attinenti al suo stato di salute, alla generica violazione della norma sulla circolazione stradale si aggiunge l’impedimento al singolo cittadino a cui è riservato lo stallo di parcheggiare lì dove solo a lui è consentito lasciare il mezzo». Sussiste pertanto l’elemento oggettivo del delitto contestato, ma anche quello soggettivo perché il ricorrente, avendo visto la segnaletica, era ben consapevole di lasciare l’auto in un posto riservato a una persona in particolare, impedendole così di parcheggiare nello stesso spazio. La Corte ha anche sottolineato il fatto che la sosta non si sia limitata a pochi minuti, ma addirittura si sarebbe protratta dalla mattina (prima delle 10.40) fino a notte inoltrata.

*Giovanni D’Agata è presidente dello “Sportello dei Diritti”,

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