PUNTI DI VISTA/ Quando suona la campana anche per Silvia-Aisha

Silvia Romano saluta la folla dalla finestra della casa dei genitori appena arrivata a Milano (foto Ansa di Marco Ottico) 

di ALFONSO INDELICATO* – Di tutta la complicata, incresciosa, e in conclusione felice vicenda che ha coinvolto Silvia Romano, vorrei mettere a fuoco un aspetto che mi ha colpito, e che finora non ho visto accennato nella vasta attenzione mediatica dedicata alla giovane. Probabilmente non è l’aspetto più importante, anzi. Ma si dice che il diavolo sta nei dettagli: se in questo detto c’è del vero, il dettaglio che qui interessa potrebbe essere rivelatore.

Il 7 ottobre del 1571 si combatte una battaglia decisiva per la cristianità: nelle acque di Lepanto una flotta allestita dalla Lega Santa, animata a sua volta da papa Pio V, affronta la più numerosa flotta turca. Da quello scontro dipende la sopravvivenza dell’Europa cristiana.

Vorrei dire che in quella lontana circostanza vincemmo noi, ma se mi guardo attorno non mi sento di dirlo, perché non so quanti dei miei connazionali si riconoscano, oggi, in quella fiera volontà di rimanere se stessi che animava i capi della flotta – Don Giovanni d’Austria, Sebastiano Venier e  Marcantonio Colonna – così come l’ultimo dei suoi marinai.

Come che sia, a Lepanto i Turchi musulmani vennero sconfitti, e l’Europa rimase cristiana, almeno per qualche tempo. Quando la notizia della vittoria giunse a Roma, Papa Pio V ordinò che tutte le campane delle chiese dell’Urbe suonassero in segno di gioia, ed è per ricordare quell’antico evento che, ad ogni mezzogiorno che Dio manda in terra, le campane delle chiese risuonano: tutt’ora e fino a quando l’usanza non sembrerà troppo politically uncorrect.

In segno di gioia hanno suonato anche le campane della chiesa parrocchiale della famiglia di Silvia Romano, ieri, quando è giunta la notizia della sua liberazione. La gioia era pienamente giustificata: è stata salvata la vita di una ragazza che, animata dalla sua generosità, era andata al servizio degli ultimi in un paese lontano. Ma quella ragazza, partita cristiana, è tornata musulmana. Ovvero è partita come Silvia ed è tornata come Aisha. Non per costrizione ma, a quanto lei stessa asserisce, per libera scelta maturata a poco a poco durante la detenzione, e favorita dalla lettura del corano espressamente richiesto ai carcerieri. Ed è tornata, me lo si lasci dire, ostentando le stimmate della sua nuova fede: col velo sul capo  e avvolta nel jilbab del verde colore dell’islam.

Sapeva il parroco suonatore di campane della conversione di Silvia? Sembra di sì,  perché la notizia era stata trasmessa subito, quando la ragazza era ancora sull’aereo che la conduceva in Italia.  E poi le campane sono suonate due volte, in momenti diversi della giornata.

I fatti sono questi: nudi, crudi e con il loro significato epocale. Il 7 ottobre 1571 suonano campane a stormo per la gioia di essere rimasti cristiani. Il 10 maggio del corrente 2020 suonano per festeggiare una giovane che ha abiurato la sua fede e si è fatta musulmana. L’imam di Milano si è subito detto pronto ad incontrare la ragazza come cittadina “e come credente”. Qualche conto non torna, nel trascorrere dei secoli e nel desolato presente. Silvia poteva essere festeggiata anche senza campane.

*Alfonso Indelicato è  consigliere comunale di Saronno

A PROPOSITO.  Guido Crosetto, esponente di Fratelli d’Italia, sulla liberazione di Silvia Romano ha scritto questo post: “Scusate, ma se diciamo, convinti, che vanno aiutati a casa loro, vanno fatte crescere le loro economie, che l’emigrazione uccide l’Africa etc. etc.,  che senso ha insultare una ragazza che è andata ad aiutarli a casa loro? Certamente non pensava di essere rapita e venduta“. E, altrettanto a sorpresa, Francesco Storace, noto esponente della destra romana, dichiara: “Io la penso esattamente come lui“. Che cosa ne penseranno i “leoni da tastiera” che si sono scatenati contro Silvia Romano?

Don Enrico Parazzoli, parroco di Santa Maria Bianca della Misericordia – la parrocchia dove abita la famiglia di Silvia Romano – intervistato da Antonio Sanfrancesco di Famiglia Cristiana, ha affermato:  “Ho grande rispetto per la scelta di Silvia Romano e non mi permetto di giudicarla. Trascorrere 18 mesi di prigionia è qualcosa che non possiamo neanche immaginare. Se, a mente fredda, quando si sarà placato il clamore di questi giorni, lei reputa che l’Islam sia la risposta corretta per la sua esistenza, io sono solo contento. Poi  farà i conti, nel suo intimo, con il suo essere donna, occidentale e persona adulta“. La conversione – è stato chiesto al parroco – potrebbe essere stata forzata? Risposta di con Parazzoli : “Non lo so. Ma il concetto di conversione nella cultura islamica è molto diverso rispetto a quella cristiana. Nell’Islam la conversione riguarda un orientamento a un sistema di norme, precetti e regolamenti che servono a vivere meglio“.

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