PUNTI DI VISTA/ La “democrazia diretta” appassiona sempre meno anche i pentastellati?

di SERGIO SIMEONE – II programma di governo
grillo-leghista è stato approvato dal 95% degli iscritti cinque stelle. Ma i votanti sono stati solo 40.000, cioè meno di un terzo degli aventi diritto al voto, che sono già pochissimi. Un numero davvero esiguo se confrontato con la partecipazione alle consultazioni del Pd, per esempio quando vengono  invitati ad esprimersi nelle primarie, con l’aggravante che mentre questi devono recarsi fisicamente ai seggi elettorali, fare lunghe file e pagare un sia pur modesto obolo, i pentastellati votano da casa, gratuitamente, con un semplice clic sul loro computer.
Quale spiegazione dare a questo stranissimo comportamento? Gli iscritti pentastellati stanno manifestando il loro dissenso astenendosi dal voto? Certamente no: questa era parsa a me la spiegazione più logica anche quando Di Maio a settembre 2017 fu eletto capo supremo dei 5stelle con soli 37.000 voti; ma solo sei mesi più tardi ricevetti una secca smentita sotto forma di una valanga di voti riversati dagli elettori sulle liste grilline.
Ed allora qual è la spiegazione giusta? Secondo me questo comportamento denota che dietro Di Maio non c’è un vero partito fatto  da militanti con i quali i dirigenti decidono periodicamente di ragionare sulle scelte da intraprendere, ma una massa di individui che vengono periodicamente consultati per dare risposte secche (o sì o no) su proposte specifiche, circoscritte o legate a una scadenza immediata. Oggi questi individui  rispondono con il loro silenzio. Che probabilmente significa: cari dirigenti, noi vi abbiamo dato la forza per fare le cose che ci avete promesso; ora come farle non è affare nostro ma vostro. C’è, insomma, il massimo della fiducia nei dirigenti, fiducia che si traduce nel massimo della delega. Che è l’esatto rovesciamento della tanto decantata democrazia diretta, ridotta ad un meccanismo referendario, che è lontano mille miglia dalla democrazia vera che vive soprattutto attraverso l’interazione tra base e vertice, il confronto delle idee, il dibattito. Quello che è venuto a mancare anche nei partiti tradizionali.
Sto esagerando? Può darsi. Ma diciamoci la verità, che tipo di base può esserci dietro un dirigente come Di Battista, che, dopo avere sposato la tesi complottista sull’aumento dello spread, che fece cadere il governo Berlusconi nel 2011, ora invita a dare ascolto, se si vuole conoscere la verità, a ciò che si dice nei bar?

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