di SERGIO SIMEONE – Non c’è bisogno di essere degli acuti analisti politici per capire che il governo Conte sarà teatro di una forte competizione tra le due forze politiche che lo sostengono. Ma chi è il più forte tra Di Maio e Salvini in questa competizione? Io non ho alcun dubbio, il più forte è Salvini. Tralasciando gli aspetti caratteriali, che pure hanno il loro peso e che mostrano un Salvini più determinato (prima ancora che il governo entrasse in carica il leader leghista aveva già occupato la scena mediatica facendo appelli ad Orban contro l’Europa, denunciando la “pacchia” di cui godono i migranti che pure sostengono la nostra agricoltura in condizioni di semi-schiavitù, dichiarando protervamente che non c’è niente di male se i più ricchi si avvantaggeranno di più della flat tax), ci sono altre ragioni che fanno della Lega il ferro di lancia del governo.
- 1. L’elettorato della Lega è molto coeso perché la Lega offre un quadro valoriale molto chiaro, un quadro classicamente e limpidamente di destra: xenofobia, sicurezza vista in termini puramente e duramente repressivi con l’aggiunta dell’incoraggiamento all’uso delle armi da parte dei cittadini, anti-europeismo. Salvini potrà perseguire con sicurezza i suoi obiettivi certo di avere dietro di sé una vera e propria falange che lo sosterrà compatta e convinta.
- 2. L’elettorato dei 5stelle è invece estremamente composito, attraversato da pulsioni che vanno in varie direzioni a volte tra di loro in contrasto. Di Maio lo sa, tanto che per capitalizzare il consenso ha dovuto dichiarare che il movimento non è né di destra né di sinistra. Ma questa posizione, se è stata molto utile per rastrellare consenso nella fase elettorale, lo sarà molto meno nella fase di attuazione del programma di governo. Di Maio dovrà fare continuo esercizio di equilibrio per tenere insieme le varie “anime” del suo elettorato.
- 3. Salvini è il leader di un partito “vero” con sedi nelle quali gli iscritti si riuniscono, discutono ed organizzano le iniziative politiche. Il movimento Cinquestelle ha scelto invece una stranissima democrazia digitale: è un movimento che ha raccolto 11 milioni di voti ma ha solo 140.000 iscritti con diritto di voto. Come mai così pochi iscritti? Mancano le adesioni? No, le richieste di iscrizione ci sono. Pare che ammontino a circa 500.000. Ma queste richieste, per diventare iscrizioni vere e proprie (con relativo diritto di voto) devono essere prima “certificate” dalla Casaleggio, dove un signore procede nella certificazione con estrema lentezza perché deve fare tutta una serie di accertamenti sulla vita dei candidati. Insomma il modernissimo movimento 5 stelle è bloccato nella crescita da un assurdo meccanismo burocratico azionato e controllato da un privato. A ciò va aggiunto che quando questa già sparuta pattuglia di ”privilegiati” viene interpellata solo uno su tre si degna di votare. Questo sistema ha potuto reggere nella fase dell’opposizione, quando basta urlare contro qualcuno, molto spesso a ragione, per avere consenso. Ma potrà funzionare quando si tratta di governare? Perché governare vuol dire soprattutto mediare con l’alleato-competitor ed all’interno del proprio partito. E dove sono le sedi in cui militanti e dirigenti possono incontrarsi e ragionare insieme per raggiungere le giuste mediazioni?
Se queste considerazioni sono valide, come potranno il Pd e Leu – se lo vorranno – farsi perdonare dal proprio residuo elettorato il diniego di un colloquio insistentemente offerto loro da Di Maio prima di essere costretto a rivolgersi alla Lega, e offrire una sponda, di volta in volta, con proposte intelligenti a chi nel movimento dei 5 stelle vorrà opporsi alle spinte di destra della Lega?
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