POLITICA NEL CAOS TOTALE/ Il giorno più lungo di Mario Draghi. Fiducia in tono minore al Senato: Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia non votano e il premier lascia. Uno scenario surreale a Palazzo Madama

di FABIO CAMILLACCI/ Mutuando il titolo di un famoso film dedicato allo sbarco in Normandia: Mario Draghi, il giorno più lungo. Una sorta di D-Day per il premier sempre più ex Presidente del Consiglio. Un D-Day che si consuma al Senato della Repubblica. Dieci ore tesissime, vissute sul filo di una crisi al buio, in cui l’ex presidente della Bce sveste i panni del tecnocrate, finendo nel turbine di trattative politiche intavolate in estremis per mandare avanti il suo esecutivo. A fine giornata, di fronte alla disgregazione totale della maggioranza di governo, Draghi tira le somme e mette i partiti davanti alle loro responsabilità, chiedendo il voto di fiducia.

La replica del premier a Palazzo Madama. Prima del voto di fiducia, però, il premier intervenendo in replica, decide di mettere alcune cose in chiaro con durezza e toni a tratti alterati, quasi stizziti: “Da me nessuna richiesta di pieni poteri, va bene?”. Si scalda in questo modo rispondendo alle accuse che gli erano state rivolte da alcune parti dell’Aula. A seguire, sul superbonus punta il dito su chi ha disegnato i meccanismi di cessione, alzando la voce: “Sono loro i colpevoli di questa situazione per cui migliaia di imprese stanno aspettando i crediti! Ora bisogna rimediare al malfatto”.

La fiducia e le dimissioni rimandate. Mario Draghi in tutto questo non è salito al Quirinale nella serata di mercoledi 20 luglio; incontrerà Sergio Mattarella solo nella giornata di giovedi 21 luglio dopo un passaggio alla Camera dei deputati previsto alle ore 9. Il Senato gli conferma la fiducia approvando la risoluzione sulle comunicazioni del presidente del Consiglio presentata da Pier Ferdinando Casini con soli 95 voti a favore e 38 contrari (di fatto, solo i parlamentari di Fratelli d’Italia). I senatori di M5S, Lega e Fi decidono di non votare. I pentastellati dal canto loro si dichiarano “presenti non votanti”.

Alcune reazioni. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio leader di Insieme per il futuro dichiara: “Pagina nera per l’Italia, la politica ha fallito”. Il ministro Mariastella Gelmini lascia Forza Italia e dice: “Silvio ha ceduto lo scettro a Salvini”. Il segretario del Pd Letta commenta: “Andremo alle elezioni rapidamente”. Esulta la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che afferma: “Avevamo ragione noi”. Infine, il leader politico del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte: “Siamo stati messi alla porta”. Dunque, si va verso le elezioni anticipate che dovrebbero tenersi il 2 ottobre prossimo.

Scenari possibili. Un governo a fine corsa, con tre delle principali forze di maggioranza che non votano la fiducia, ma nemmeno sfiduciato da un voto contrario. I passaggi che ora tutti si attendono sono: la sua salita al Quirinale, poi un colloquio con il presidente della Repubblica per certificare la conclusione del suo esecutivo. Una prima possibilità: il premier presenta nuovamente le dimissioni ma queste potrebbero essere di fatto congelate, per permettergli di proseguire nel suo impegno di governo con una attività ordinaria e non solo per gli affari correnti. Draghi in tal modo potrebbe addirittura varare la manovra economica ai primi di settembre, in attesa del voto politico.

Draghi come Ciampi? Dopo questo passaggio al Quirinale, il Capo dello Stato dovrebbe incontrare i presidenti delle Camere, come prevede la Costituzione, per poi sciogliere le Camere. Una volta sciolte le camere il governo dovrebbe scegliere la data del voto; il 2 ottobre molto probabilmente. Nel frattempo, Mario Draghi potrebbe gestire l’attività di governo ordinaria, come già fece uno dei suoi maestri economico-finanziari: Carlo Azeglio Ciampi. L’ex Capo dello Stato a gennaio 1994 rassegnò, infatti, le dimissioni da Presidente del Consiglio, che furono respinte dall’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Due mesi dopo si votò per le elezioni politiche: quelle vinte da Berlusconi dopo la sua famosa discesa in campo.

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