di SERGIO SIMEONE* – Riemerge ancora una volta dall’oblio lo ius soli. A riportarlo dentro il dibattito politico è il neo segretario del Pd Enrico Letta. Perché l’abbia fatto mi sembra abbastanza chiaro. Letta ritiene che il principale problema da affrontare per rilanciare il più importante partito della sinistra sia ricostruire la sua identità ed uno dei tratti che vuole far emergere è quello di forza politica che più di tutte e più convintamente si batte per il riconoscimento dei diritti civili. E tra i diritti civili da tutelare c’è quello delle migliaia di bambini nati da migranti in Italia o arrivati piccolissimi nel nostro Paese di vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana occupa certamente il primo posto. E a giudicare dalle reazioni che ha suscitato, Letta ha effettivamente scelto un tema dirimente.
La proposta dello ius soli ha infatti naturalmente provocato la reazione indignata di Salvini, che ha promesso sfracelli. Lui (il fan di Trump ed il sodale di Orbàn) ha potuto ingoiare tranquillamente come una pillola l’europeismo spinto fino al federalismo enunciato da Draghi nel discorso programmatico; non ha battuto ciglio (lui, fautore della flat tax) quando il presidente del Consiglio ha annunciato che vuole fare una riforma fiscale improntata alla progressività. Ma quando ha sentito la parola ius soli ha subito reagito come il cane di Pavlov: è emerso incontenibile il suo istinto xenofobo. Ebbene sì, Letta ha scelto un tema davvero dirimente, una vera cartina di tornasole, smentendo chi dice che non c’è più differenza tra destra e sinistra.
Ma è significativa anche la reazione degli altri partiti: il silenzio. Nessuno degli altri partiti, anche quelli che dicono che lo ius soli rappresenta una scelta di civiltà, ha ritenuto opportuno sia raccogliere la proposta di Letta sia rintuzzare le belluine dichiarazioni di Salvini.
Che cosa c’è dietro questo atteggiamento? Non è difficile intravedere il cosiddetto “benaltrismo”. Succede sempre così con lo ius soli: c’è sempre qualcosa di più importante ed urgente da fare che occuparsi di questo problema (che – si obietta – sottrarrebbe tempo ed energie). Soprattutto curarsi dei diritti civili è un lusso rispetto ai bisogni materiali.
Considerare lo ius soli un problema marginale è invece non solo segno di mancanza di sensibilità per il dramma di alcune centinaia di migliaia di ragazzi, ma è anche un errore politico molto grave. Non è un caso che Maurizio Landini, segretario della Cgil (uno di quelli, per capirci, che per mestiere si occupa dei bisogni materiali degli italiani), nel suo colloquio con Draghi, prima che questi accettasse l’incarico di formare il governo, abbia (per alcuni inopinatamente) sottolineato l’urgenza di introdurre lo ius soli. E lo ha fatto indicandolo come uno dei mezzi per rinforzare l’unità del Paese. Il sindacalista ha lucidamente colto, dal suo punto di osservazione, che la produzione di beni e servizi in Italia si fonda ormai in maniera strutturale su milioni di lavoratori stranieri, la cui presenza è divenuta insostituibile. Occorre perciò avviare un processo di integrazione e lo ius soli è parte di questo processo.
Ma è un errore anche pensare che non si possano affrontare contemporaneamente problemi attinenti alla vita materiale delle persone e problemi attinenti ai diritti civili. Poiché ci sono sempre stati problemi materiali da risolvere fin da quando è nata l’umanità, accettando questa incompatibilità, oggi quanto a diritti civili saremmo ancora alla preistoria. Non è un caso pertanto che ad opporsi più fieramente allo ius soli sia l’uomo delle caverne della politica italiana.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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