RIFORMA COSTITUZIONALE. Come distinguere tra il vero e il falso sul referendum

Referendum trivelledi ENNIO SIMEONE –  Sono tanti gli italiani che alla vigilia del voto confessano di non avere gli elementi sufficienti per decidere se andare alle urne domenica  per il referendum sulla riforma della Costituzione o se, entranti in cabina, votare per il Sì oppure per il No. Proviamo perciò a districarci tra le parole ricorrenti nei concitati dibattiti televisivi di questi mesi, soffermandoci sugli slogan che sono stati maggiormente ripetuti a sostengo di questa riforma.

“Non possiamo restare fermi. Perciò voto Si”.  Bene, ma, prima di “muoverti”, domanda dove ti portano. Un vecchio adagio dice: “Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova”.

“All’Italia servono le riforme”. Vero. Ma le riforme non sono necessariamente una cosa buona. Ci sono buone riforme e cattive riforme. Per esempio: se ti dicono “con questa riforma aboliamo il bicameralismo paritario” (cioè Camera e Senato, entrambi eletti dai cittadini, che fanno “le stesse cose”) e poi ti chiedono di dire sì a un Senato non più eletto dai cittadini ma composto da consiglieri regionali e sindaci “a mezzo servizio” che hanno la facoltà di bloccare le leggi fatte dalla Camera, che riforma è? Secondo te, è buona o cattiva?

Obiezione: ma risparmiano sulle indennità ai senatori”. E’ una mezza verità. Infatti i 95 senatori che dovrebbero fare anche i consiglieri regionali e i sindaci “a mezzo servizio” (e che quindi finiranno per esercitare male sia l’una che l’altra funzione) costeranno più dei senatori attuali per trasferte, viaggi e permanenza a Roma per loro stessi e i loro collaboratori. E tutta la struttura per il funzionamento del Senato rimane in piedi egualmente, con i relativi costi. Secondo calcoli ufficiali, in tutto si potrebbero risparmiare al massimo 56 milioni (su una spesa pubblica di 800 miliardi), molto meno, cioè, di quanto si sarebbe risparmiato semplicemente riducendo le indennità dei parlamentari.

“In Italia talvolta si impiegano anni per fare una legge. La riforma serve a fare le leggi più velocemente”. Falso. Siamo il paese dove si fanno ogni anno molte più leggi di altri paesi europei, come la Germania e la Francia. Sono state fatte leggi in pochissime settimane, alcune anche in venti giorni, approvate da entrambe le Camere. In realtà le leggi in Italia restano ferme, o inapplicate per lungo tempo dopo l’approvazione del parlamento, perché gli uffici che devono scrivere i “decreti attuativi” ritardano il loro lavoro, proprio perché di leggi se ne fanno troppe, e non possono essere applicate. Ma di questo la riforma non si occupa per niente.

Però finalmente si abolisce il Cnel (Consiglio nazionale dell’Economia e Lavoro)”. Vero, anche se il risparmio sarebbe, secondo vari calcoli, da un massimo di 8 milioni a un minimo di 3 milioni. Ma siccome su questo sono tutti d’accordo,  bastava fare una riforma di due righe, che sarebbe stata approvata dalla stragrande maggioranza delle due Camere, per cui non ci sarebbe stata nemmeno necessità di indire un referendum. E’ una cosa che si può fare subito dopo il 5 dicembre. E non c’era bisogno di cambiare 47 articoli della Costituzione per ottenere questo minuscolo risultato.

“Erano trent’anni che ci promettevate le riforme. Ora se vince il No dovremo aspettarne altri trenta”. Falso. Innanzitutto da quando è entrata in vigore  (anno 1948) sono state fatte varie riforme della Costituzione (più di quelle apportate alla Costituzione americana che risale al 1797), alcune senza bisogno del referendum confermativo perché approvate dal parlamento con larghe maggioranze, altre approvate con referendum, altre bocciate dal referendum; l’ultima modifica, passata senza referendum, è del 2012 (inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio), la più significativa è del 2001 (capitolo V) che stabiliva l’ampliamento dei poteri delle Regioni. La riforma che prevedeva la eliminazione del bicameralismo paritario, con l’ipotesi persino di abolizione del Senato, tentata nel 1997-’98 con la famosa commissione bicamerale (composta da 35 deputati e 35 senatori) presieduta da Massimo D’Alema (allora segretario del Pds) e fatta fallire da Berlusconi (allora capo del governo), non si è realizzata perché vennero  perseguiti due obiettivi: a) ricercare una formula che – senza stravolgere l’impianto garantista faticosamente costruito nei due anni della sua attività dall’Assemblea Costituente nel 1946-48 – consentisse un vero snellimento delle funzioni legislative; b) realizzare un consenso vasto delle diverse forze politiche in parlamento, come era stato fatto dai padri costituenti e come è necessario fare quando si cambia uno dei pilastri fondamentali delle regole di uno Stato. L’obiettivo purtroppo non fu raggiunto.

La riforma Boschi, invece, non corrisponde a nessuno di questi due criteri, sia per il modo come è stata imposta dal governo in un parlamento – quello eletto nel 2013 con una legge elettorale, il “Porcellum”, poi bocciata dalla Corte Costituzionale –  dove,  per di più, si è avvalso di voti raccogliticci, una vera “accozzaglia”, per usare un termine caro a Renzi, di transfughi da Forza Italia capeggiati da Denis Verdini e da altri gruppi -, sia perché si fonda su un pasticcio istituzionale che non abolisce il Senato, ma abolisce solo il diritto degli italiani di votare per scegliere i senatori, e trasforma il “bicameralismo paritario” in “bicameralismo confusionario”.

“Basta leggere il quesito sulla scheda”.  Alt! Non c’è trucco ma l’inganno. Attenzione: il quesito che troveremo sulla scheda del referendum costituzionale può facilmente indurre in errore. La Cassazione afferma che non è truccato perché ripete il titolo che è stato dato alla legge da chi l’ha presentata, cioè il governo. Vero. Ma è ingannevole, perché riassume in poche righe ben 47 articoli, cioè oltre un terzo della Costituzione, che vengono modificati (cosa mai accaduta). Eccolo:  «Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?». Detta così, si può essere indotti a cuor leggero a rispondere di sì. Ma…

Prima affermazione ingannevole: il superamento del bicameralismo paritario. In realtà il bicameralismo non viene affatto abolito, ma solo modificato, in peggio. Cioè il Senato rimane in vita con competenze notevoli, in grado anche di bloccare l’iter delle  leggi della Camera più di adesso. L’unica vera modifica consiste nel fatto che non voterà più la fiducia al governo, ma – come si è detto prima – viene sottratto al voto degli elettori perché i senatori saranno eletti dai consigli regionali tra i loro stessi membri (74) e tra i sindaci (1 per ogni regione), a parte i 5 nominati a vita dal presidente della Repubblica. E con due aggravanti: 1. che i prescelti godranno della immunità parlamentare; 2. che la durata del mandato non avrà una data unica e certa, perché i consigli regionali hanno scadenze e calendari elettorali diversi anche in conseguenza di eventuali scioglimenti anticipati per crisi politiche locali o per motivi giudiziari.  Dire che i senatori “saranno eletti dai cittadini” –  come vanno ripetendo i sostenitori del Sì, con in testa Renzi e la ministra Boschi – è un vero e proprio falso. Perché i cittadini li eleggono per fare i consiglieri regionali o i sindaci, non per fare i senatori! Insomma, un pasticcio senza precedenti e senza eguali in altri paesi europei.

Seconda affermazione ingannevole: la riduzione del numero dei parlamentari. E’ una riduzione minimale, cioè solo di 200 senatori contro gli attuali 320, rispetto alle proposte alternative, che prevedevano l’abolizione completa del Senato (e quindi tutti i 320 membri) e fino al dimezzamento del numero dei deputati, cioè 315 contro gli attuali 630: in totale si sarebbe potuto attuare un taglio di 515 parlamentari, cioè oltre il doppio di quelli previsti dalla riforma.

Terza affermazione ingannevole.  Il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni. Cosa, questa, assolutamente generica e non suffragata da alcuna dimostrazione: si tratta di una affermazione collegata solo alla soppressione del Cnel (Consiglio nazionale di economia e lavoro), infima voce di spesa nel bilancio statale.

“State sereni, cambieremo l’Italicum“, dice Renzi. A tutto ciò che abbiamo detto finora va aggiunto che la riforma costituzionale oggetto di referendum viaggia in parallelo con la nuova legge elettorale “Italicum”, entrata in vigore dal luglio scorso, che riguarda, infatti, solo la elezione della  Camera (dando quindi per scontato che la riforma verrà approvata dal referendum), imposta dall’attuale maggioranza, persino peggiorativa della legge elettorale “Porcellum” che è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. E’ una legge che assegna al partito che vince il ballottaggio contro il secondo classificato il 55% dei seggi della Camera dei deputati,  che è l’unica a votare la fiducia al governo. E, attenzione, al ballottaggio possono andare anche due partiti che hanno ottenuto il 25% dell’elettorato; il che vuol dire che un partito che gode della fiducia di un quarto di coloro che vanno a votare (al massimo il 60% degli aventi diritto), cioè il 15% degli italiani, conquista la maggioranza assoluta della Camera, che sarà formata in grandissima parte di persone scelte dal capo del partito vincente, che diventa un vero e proprio dittatore. Nemmeno la legge Acerbo, che consegnò l’Italia a Mussolini e al fascismo, arrivava fino a questo punto.

Renzi ora promette: “cambieremo l’Italicum”, dopo averla definita una legge perfetta, che gli altri paesi ci copieranno. E’ la promessa che ha fatto alla sinistra del Pd (e non solo) per ottenere, in cambio, il sì al referendum. Perciò ha nominato una commissione nel Pd (che comprendeva anche un membro della minoranza, Gianni Cuperlo) con il compito di “proporne una modifica alle altre forze politiche”. Ma la sinistra Pd aveva chiesto di formalizzare quella modifica presentando il testo in parlamento prima dello svolgimento del referendum perché le assicurazioni “stai sereno” di Renzi non sono considerate affidabili.  Forse stavolta una modifica è veramente pronto a farla per l’eliminazione del ballottaggio tra le due liste più votate se nessuna raggiunge il 40% al primo turno. Ha cambiato opinione dopo aver visto come sono andate le ultime elezioni dei sindaci a Roma e a Torino… E l’hanno cambiata anche alcuni suoi sponsor, come i giovani innovatori Napolitano e Scalfari.

Ma le leggi elettorali e le Costituzioni non si cambiano secondo come spira il vento per il governo in carica. Questa non è democrazia! E non è nemmeno serietà! Quindi logica e prudenza vogliono che al referendum si voti NO.

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