PARLAMENTO IERI E DOMANI/ Quelle riforme di cui nessuno parla più

di FEDERICO ONORATI -. Quasi 400 disegni di legge costituzionali presentati, solo due approvati (cinque se si considerano quelli assorbiti). Sono i numeri di quella che nelle intenzioni di tutte le forze politiche doveva essere una legislatura costituente, e che invece, sotto questo profilo, si è rivelata un fallimento. Sul bilancio pesa chiaramente il referendum del 4 dicembre 2016, che ha affossato la riforma della seconda parte della Costituzione voluta da Renzi e con essa il suo Governo. Un lavoro che ha tenuto impegnato il Parlamento per due anni (dall’aprile 2014 all’aprile 2016).

La riforma dei regolamenti Proprio in extremis alcune novità sono però arrivate con la riforma del Regolamento del Senato. La più importante è l’impossibilità di costituire gruppi parlamentari che non rappresentino un partito o movimento politico presentatosi alle elezioni. Chi dovesse lasciare il proprio gruppo di appartenenza transiterà nel Misto: un freno ai cambi di casacca che alcune forze politiche (come il M5S e la coalizione di centrodestra) vorrebbero ulteriormente limitare cancellando il divieto di vincolo di mandato previsto dalla Costituzione. Uno degli obiettivi della riforma renziana (la velocizzazione del procedimento legislativo) viene perseguito prevedendo l’assegnazione di norma dei ddl alla sede deliberante: ad eccezione delle leggi costituzionali, elettorali, di ratifica di trattati internazionali, dei decreti legge, della legge di bilancio e relativi collegati e dei decreti legge, le proposte saranno dunque approvate direttamente dalle Commissioni senza passare per l’Aula. Anche le informative del Governo, ad eccezione di quelle del Presidente del Consiglio, si svolgeranno in Commissione. Cambia anche l’organizzazione dei lavori: attualmente l’Aula si riunisce in genere durante la mattinata e nel pomeriggio e all’ora di pranzo, a colazione o a cena c’è lo spazio per le Commissioni. Da marzo in avanti, nel corso del mese due settimane saranno dedicate all’Aula con sedute uniche; e due settimane saranno riservate alle Commissioni. Come alla Camera, inoltre, l’astensione non varrà più come voto contrario e la votazione elettronica diventerà la regola (ora è a richiesta). Il via libera del Senato è stato in un certo senso una sorpresa di fine Legislatura, perché nel corso degli anni sembrava che un accordo fosse stato raggiunto già alla Camera, anche se tutto si era bloccato in attesa del referendum sul ddl Renzi-Boschi. L’intesa è saltata perché Fi ha ritirato l’appoggio dopo le polemiche sulla legge elettorale e il M5S si è detto disponibile a intervenire solo sulla formazione dei gruppi. Nel testo finale messo a punto dalla Giunta del Regolamento c’erano l’eliminazione delle 24 ore che adesso devono passare tra la fiducia e il voto finale sullo stesso testo e delle deroghe al numero minimo di 20 deputati pere gruppo; il dimezzamento dei tempi di intervento in Aula (da 30 a 15 minuti in discussione generale, da 10 a 5 minuti in dichiarazione di voto); garanzie per l’esame dei ddl di iniziativa popolare o calendarizzati in quota opposizione; la possibilità per il Governo o un capogruppo di chiedere la votazione a data certa per un ddl; e il divieto di maxiemendamenti interamente soppressivi di un articolo. Tutte modifiche di cui si tornerà probabilmente a parlare nella nuova Legislatura.

Le modifiche agli statuti regionali – Al di là degli interventi sui Regolamenti, gli unici due progetti di legge costituzionale che hanno concluso il loro iter in questa Legislatura intervengono sugli Statuti speciali del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige. Il primo, presentato dal Consiglio regionale friulano, introduce nella Regione le Città metropolitane e abbassa da 25 a 18 anni l’età per essere eletti in Consiglio; il secondo, entrato in vigore proprio nelle ultime settimane, riserva alla minoranza ladina uno dei tre vicepresidenti della Giunta e alcuni posti nella magistratura provinciale di Bolzano e le garantisce una sorta di diritto di veto sui capitoli del bilancio che lo riguardano. La proposta era a prima firma di Daniel Alfreider, ingegnere 37enne originario di una frazione di Corvara di Badia, primo e fin qui unico parlamentare ladino della storia della Repubblica.

Quella proposta di Enrico Letta che nessuno ricorda – C’è in realtà un altro progetto di legge costituzionale che in questa Legislatura ha concluso tre delle quattro letture previste dalla Costituzione. Si tratta del ddl del Governo Letta che istituiva il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, una specie di Bicamerale composta da 42 membri (20 deputati, 20 senatori e i due presidenti delle Commissioni Affari costituzionali) che avrebbe dovuto esaminare i progetti di riforma della II parte della Costituzione e approntare una nuova legge elettorale. L’intero procedimento si sarebbe dovuto concludere entro un anno e mezzo (salvo successivo referendum confermativo): i lavori del Comitato sarebbero dovuti durare massimo sei mesi; le Camere avrebbero avuto tre mesi di tempo ciascuna per esaminarli nelle prime due letture. Il ddl saltò proprio prima dell’ultima lettura alla Camera (fu semplicemente incardinato in Commissione Affari costituzionali) per i distinguo di una parte dell’allora Pdl che appoggiava l’Esecutivo. Già a ottobre 2013, in terza lettura, al Senato si rischiò la crisi di governo: il testo passò per il rotto della cuffia e solo grazie al sì della Lega, per appena 4 voti sopra il quorum dei due terzi dell’Aula richiesto dalla Costituzione.

…e quelle per il futuro – Di riforme si tornerà sicuramente a parlare nella prossima Legislatura, come sempre dal 1983 (anno dell’istituzione della prima Bicamerale a guida Bozzi). Fin qui in campagna elettorale se n’è discusso poco: il Pd sembra intenzionato a riproporre l’abbassamento a 18 anni dell’età per essere eletti al Senato e la fine del bicameralismo perfetto, oltre alla semplificazione della divisione delle competenze tra Stato e Regioni. Gli altri partiti spingono soprattutto sulla riduzione del numero dei parlamentari; il centrodestra ripropone l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, mentre la Lega sembra aver abbandonato l’idea di modificare la Costituzione in senso federalista, puntando invece a ottenere maggiori spazi di autonomia per le singole Regioni, secondo la strada tracciata dai referendum autunnali in Veneto e Lombardia. Il M5S da sempre propone il tetto dei due mandati, aggiungendo il voto ai 16enni e l’introduzione dei referendum propositivi senza quorum. Per quanto riguarda infine Liberi e Uguali, l’idea principale è quella di sostituire l’obbligo di pareggio di bilancio con il principio della golden rule, secondo cui gli investimenti pubblici non devono essere considerati in sede Ue ai fini del rispetto del 3 per cento del deficit.

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