OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump senza filtri: il suo discorso al CPAC

di DOMENICO MACERI* – “Sapete. Io non so, forse voi sapete. Sapete, sono completamente fuori copione, va bene? Ecco come sono stato eletto, essendo fuori copione…. e se non andiamo fuori copione, il nostro Paese sarà  in grossi guai, ragazzi”. Così il presidente Donald Trump al convegno annuale del CPAC (Conservative Political Action Conference). Trump ha proseguito il suo discorso continuando a ruota libera per due ore dando l’impressione di uno dei suoi tanti comizi, ricevendo ovviamente i desiderati applausi dei partecipanti.

La settimana horribilis  di Trump prima del discorso si era conclusa col disastro in Vietnam per il mancato accordo di pace con Kim Jong-un, il leader della Corea del Nord e le quasi contemporanee testimonianze di Michael Cohen, ex avvocato di Trump, alla Commissione vigilanza della Camera del Congresso. Cohen, che tra breve andrà  in carcere per tre anni, ha accusato il suo ex cliente di essere “razzista, truffatore e imbroglione”.

Il 45esimo presidente aveva dunque bisogno di contrattaccare, come fa quando si sente ferito. Il discorso gli ha offerto una buona opportunità  di parlare senza nessun filtro attaccando una grande varietà  di avversari, riservando in particolare alcune delle stoccate a Robert Mueller, il procuratore speciale del Russiagate. I leader democratici alla Camera sono stati anche bersagliati poiché in questi giorni hanno intensificato le loro inchieste sull’operato di Trump da quando era imprenditore, poi candidato politico e infine presidente. Senza dimenticare di mandare qualche messaggio in vista della campagna per le elezioni del 2020, che ovviamente comincia a scaldarsi con il folto numero di candidati alla nomination del Partito Democratico.

Come al solito quando parla senza copione, Trump si comporta in maniera poco presidenziale, usando la sua arma politica più efficace, fatta di insulti ma anche di asserzioni fuorvianti e ovviamente anche falsità . Il Washington Post ci informa che durante il recente discorso al CPAC Trump ha formulato 104 asserzioni false o fuorvianti. Se le si aggiunge al suo totale si arriva più di 9 mila fra menzogne, asserzioni fuorvianti e esagerazioni.

In effetti, per Trump si tratta della sua visione della realtà  basata su numeri esagerati e insinuazioni che fanno piacere ai suoi fedelissimi e anche al pubblico del CPAC. L’inchiesta del Russiagate è dunque per il 45esimo presidente un caccia alle streghe e non c’è mai stata collusione con i russi. Asserzioni che si scontrano con le ricerche dei rapporti della sua intelligence, che Trump ignora, preferendo la sua visione istintiva.

La realtà  è diversa, come ci dimostrano fino ad ora i risultati dell’inchiesta di Mueller, che includono 199 accuse criminali, 37 incriminazioni e ammissioni di colpevolezza, 4 sentenze già  emesse e alcuni ex collaboratori di Trump in carcere o in procinto di andarci.

Altre falsità,  ovvie anche all’osservatore casuale, includono la ripetizione fino alla nausea che il muro al confine col Messico si sta costruendo e che l’economia in America è la migliore di tutti i tempi. Quando poi Trump ammette di avere fatto la richiesta ai russi di rivelare le e-mail di Hillary Clinton in campagna elettorale si rifugia nel suo umorismo. Si trattava solo di una richiesta sarcastica, ha spiegato il 45esimo presidente al pubblico del CPAC, perché fu fatta in un comizio in cui “tutti si divertivano“, in effetti una barzelletta, in un discorso politico che somigliava a un reality. Nulla di serio dunque.

Il linguaggio di Trump è già noto per i suoi toni derisori, offensivi e anche volgari. In quello fatto al CPAC ha persino dichiarato che i suoi nemici vogliono farlo fuori con “stronzate” perché ha vinto le elezioni. Una simile espressione volgare è stata usata per deridere Adam Schiff, presidente della Commissione di intelligence della Camera, che si appresta ad indagare sull’operato di Trump in relazione all’interferenza russa nelle presidenziali del 2016.

Il pubblico del CPAC si è comportato come a un tipico rally di Trump applaudendolo ed accettando la realtà  alternativa di Trump. Anche il Partito Repubblicano, che ha abbandonato i principi di patriottismo e moralità  che storicamente professava, si comporta come il pubblico del CPAC. Ciononostante, qualche frattura fra Trump e il Partito Repubblicano comincia però a intravedersi. Tredici parlamentari repubblicani hanno votato coi loro colleghi democratici per bloccare la dichiarazione di emergenza di Trump al confine col Messico, che gli permetterebbe di trasferire fondi stanziati per alcuni programmi e utilizzarli per la costruzione del famigerato muro. Preliminari informazioni ci indicano che anche al Senato si avrà  un voto simile con parecchi repubblicani pronti ad abbandonare la posizione del presidente. Trump potrà  imporre il suo veto, ma forse il Partito Repubblicano ha già  iniziato a mandare segnali al presidente per fargli notare che sta esagerando e il loro supporto ha i suoi limiti.

*Domenico Maceri, PhD, professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com). 

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