OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump alle Nazioni Unite: echi della campagna elettorale

di DOMENICO MACERI* – Dopo la breve  “sterzata a sinistra” in politica interna verso i leader democratici sull’innalzamento del tetto del debito e la questione dei “dreamers”, Donald Trump è ritornato alle sue radici. Il suo primo discorso da presidente Usa alle Nazioni Unite ha ripreso la politica di “America First” (Prima di tutto l’America) espressa in campagna elettorale e sottolineata il giorno dell’insediamento alla Casa Bianca. Un discorso poco rassicurante per il mondo ma tranquillizzante per i suoi sostenitori politici.
Ci si sarebbe aspettato che in sede internazionale avesse rimarcato la linea della cooperazione internazionale. Trump ha infuocato invece l’egoismo e, soprattutto, la miopia che hanno caratterizzato la sua ascesa al potere. A cominciare dal concetto di isolazionismo che vede un ruolo americano nel mondo caratterizzato da interessi nazionalisti. Trump ha infatti cercato di esportare il concetto di isolazionismo dicendo che ogni Paese dovrebbe concentrarsi sulla propria sovranità come se questo non fosse già applicato dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite.
Se c’è un problema fondamentale nell’organizzazione è proprio quello degli interessi dei singoli Paesi e i conflitti inerenti i rapporti internazionali. Trump ha esaltato l’importanza degli interessi egoistici senza esitare di cadere nelle sue minacce per ottenere i propri scopi improntati alla sicurezza. Ha detto che gli Stati Uniti hanno “grande forza e pazienza” ma che per difendere il Paese o gli alleati non avrà “altra scelta che distruggere completamente la Corea del Nord”.
Una minaccia scioccante che non rassicura nessuno considerando il pericolo rappresentato da Kim Jong-un, il quale continua con i suoi esperimenti di missili balistici che potrebbero anche colpire il territorio statunitense.  Difficile interpretare le vere motivazioni di Trump ma forse i leader mondiali sono già abituati alle sue sparate vedendole come messaggi alla sua base politica. Il pericolo però rimane, non solo per i Paesi vicini alla Corea del Nord ma per il resto del mondo.

Le reazioni al discorso di Trump hanno oscillato tra l’entusiasmo  e lo shock. Alcuni analisti hanno anche rilevato che l’idea di fare scomparire 25 milioni di persone equivale a un crimine di guerra facendoci dubitare su chi fra Trump e Kim Jong-un sia il vero matto.  Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, però, ha definito il discorso di Trump “coraggioso”.  Il presidente iraniano Hassan Rouhani, invece, più sobriamente, ha detto che le parole di Trump sono poco più che “odio ignorante” che che rimanda al medio evo. Rouhani ha continuato spiegando che la minaccia di Trump di abbandonare l’accordo con l’Iran firmato da Barack Obama confermerebbe che nessuno potrà fidarsi degli Stati Uniti finché alla Casa Bianca ci sarà Trump e che l’Iran potrebbe riprendere il suo programma nucleare bloccato dal trattato del 2015.

Trump ha cercato di esaltare un’ideologia della sovranità dichiarando ai leader presenti che loro devono “sempre servire gli interessi dei loro Paesi” ricevendo gli applausi, come per sottolineare  che questo era scontato. L’attuale inquilino della Casa Bianca però non capisce o non sembra capire che il leader del Paese più potente al mondo dovrebbe fare del suo meglio per creare pace e stabilità per rafforzare anche la prosperità globale. Le minacce servono poco al progressi e  ai rapporti internazionali. Per raggiungere accordi di pace bisogna trattare gli avversari con rispetto e offrire incentivi. Deridere Kim Jong Un con l’epiteto  di “Rocket Man” (uomo razzo) ci ricorda ovviamente il modo in cui il 45esimo presidente ha trattato i suoi avversari nelle primarie repubblicane e Hillary Clinton nell’elezione del 2016. La differenza però è che Kim Jong-un possiede e collauda continuamente missili pericolosi.

In mancanza di parole rassicuranti di Trump il mondo si è dovuto accontentare della parole concilianti del primo ministro italiano Paolo Gentiloni e di quelle del presidente francese Emmanuel Macron. Ambedue hanno sottolineato l’importanza del “multilateralismo” per affrontare il cambiamento climatico, il terrorismo ed altre sfide che nessuno, nemmeno un Paese potente come gli Stati Uniti, può risolvere da solo. Sentimenti reiterati anche da Diane Feinstein, senatrice democratica della California. La Feinstein ha dichiarato che la missione delle “Nazioni Unite è di promuovere la cooperazione globale”. Trump però avrà raggiunto il suo obiettivo. I suoi sostenitori potranno sentirsi sicuri riconoscendo il loro candidato che lotta per loro non solo contro i nemici interni ma anche contro quelli fuori dal Paese.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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