OSSERVATORIO AMERICANO/ Ted Cruz troppo estremista per la Casa Bianca?

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI*
Esprimendo le sue preferenze per il futuro presidente degli Stati Uniti, Craig Mazin ha detto che chiunque andrebbe bene ma non  Ted Cruz, il suo compagno di camera all’università di Princeton nel 1988. Cruz non si fece molti amici in quel periodo e poco è cambiato. Anche in Senato dal 2012 è riuscito a farsi pochissimi amici. La rivista Foreign  Affairs lo ha definito il senatore più odiato. Cruz però è al secondo posto dopo Donald Trump per la nomination del Partito Repubblicano su scala nazionale e nel caso dell’Iowa al momento batte anche Trump di nove punti (Cruz 40%, Trump 31%). La scarsa cerchia di amicizia non ha inciso sul suo successo politico ma la sua incapacità di collaborare con altri leader del suo partito e di quello dell’opposizione farebbe di lui un eventuale presidente isolato da fare rimpiangere persino lo scarso successo di Barack Obama con i repubblicani a Washington.

Al momento però Cruz sembra avere tracciato un sentiero per la nomination. Con una filosofia politica di estrema destra caratterizzata da una fede “talebana” mantiene i suoi principi, che fanno sorridere gli elettori del gruppo del Tea Party. Infatti, Cruz ha creato “un’alleanza” con membri estremisti della Camera Bassa che tanto hanno fatto per ostacolare l’agenda del presidente Obama della quale il senatore del Texas si è definito paladino. A cominciare dall’abrogazione di Obamacare, la riforma sulla sanità, alla quale Cruz ha dedicato un filibuster di ventitré ore al Senato. Il suo estremismo abbinato a quello dell’estrema destra della Camera ha causato lo shutdown, la chiusura dei programmi governativi non essenziali nel 2013. Cruz vorrebbe anche eliminare la IRS, il fisco americano, e aveva anche minacciato un altro shutdown per la sua opposizione ai fondi del governo a Planned Parenthood.

La sue prese di posizione estremiste non lo hanno fatto diventare un beniamino dell’establishment repubblicano che lui vede come collaboratore di Obama. Com tali giudizi ovviamente Cruz parla direttamente all’estrema destra del suo partito che si vede tradito dalla leadership repubblicana. Il senatore del Texas è d’accordo.

Ma al di là delle sue idee estremiste Cruz ha esibito uno stile di attacchi che lo ha condotto ai vertici  per la nomination. Allo stesso tempo lo ha reso completamente inefficiente come legislatore per la sua mancanza di cooperazione con i suoi colleghi. Difficile trovare collaboratori quando Cruz non esita a ricorrere ad attacchi  ad personam non solo contro i democratici ma anche con i membri del suo partito. Ha persino dato del bugiardo a Mitch McConnell, presidente del Senato, per una diversità di opinione sul rinnovo dei fondi della Export/Import Bank.
A Cruz importa poco ciò che pensano i suoi colleghi. Si preoccupa sempre di attirare i riflettori su di lui perché dopotutto non gli interessa  governare. Parlare di risultati legislativi promossi da Cruz è difficile anche perché non riesce a trovare colleghi che lo supportino. Infatti, in una sua richiesta per un voto del Senato non è riuscito a trovare un secondo senatore, il minimo per continuare, che lo sostenesse. Gli importa poco perché tutto ciò che lui fa è indirizzato alla sua campagna per conquistarsi la nomination e spera eventualmente nella conquista della Casa Bianca.

Al momento è difficile capire come potrebbe governare il Paese più potente al mondo senza avere stabilito rapporti nemmeno con i membri del suo partito. Il suo successo però al livello nazionale con l’estrema destra del Partito Repubblicano lo ha reso temibile. Non pochi dei suoi colleghi al Senato si rifiutano di criticarlo apertamente, soprattutto quelli che devono correre alle prossime elezioni.  Il senatore Johnny Isakson della Georgia lo ha chiarito dicendo che “la cosa più stupida che potrebbe fare” è di criticare Cruz, il quale è molto popolare nel suo Stato.

La paura però non si applica solo ai candidati alle elezioni del 2016. Per gli americani, al momento, i due primi della classe alla nomination, Donald Trump e Cruz, fanno paura. Nessuno dei due ha dimostrato nella campagna la responsabilità necessaria per divenire il leader del più importante Paese al mondo. Cruz non ha criticato Trump,  il suo più diretto concorrente, attualmente.  Crede che il magnate di New York eventualmente si farà da parte e lui erediterà i suoi  sostenitori. Forse. O forse ha paura dei contrattacchi finora efficaci contro coloro che non sono stati “gentili” con Trump? La paura però dovrebbero averla gli americani. Infatti c’è poca differenza fra Trump e Cruz nel caso che uno dei due dovesse conquistare la Casa Bianca.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)  

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