OSSERVATORIO AMERICANO/ Il doppio compito dei democratici: arginare Trump e legiferare

di DOMENICO MACERI*-  “Beh, prima di tutto, obbedirei a qualunque atto di comparizione”. Queste le parole di Joe Biden,  vicepresidente durante i due mandati presidenziali di Barack Obama e attualmente candidato alla nomination del Partito Democratico per le presidenziali di novembre. Pochi giorni prima, però, Biden aveva dichiarato al Des Moines Register, giornale dello Stato dell’Iowa, che aprirà la compagna per le primarie democratiche il prossimo mese, e che non avrebbe accettato un atto di comparizione a Donald Trump al Senato nel probabile processo.

Il suggerimento di Biden di non rispettare la richiesta di presentarsi e offrire testimonianze lo avvicinerebbe ai comportamenti di Donald Trump, che ha fatto “un’arte” del divieto ai suoi collaboratori di rispettare gli atti di comparizione emessi dalla Camera sulle indagini dell’Ucrainagate. Per Trump si tratta di una strategia che gli ha portato buoni risultati. Il procuratore speciale sul Russiagate, Robert Mueller, ha accettato risposte scritte da Trump invece di intraprendere un lungo percorso giudiziario per costringere l’inquilino della Casa Bianca a testimoniare in persona.

Il 45esimo presidente ha abusato dei rifiuti di collaborare alle inchieste di Mueller e  delle varie commissioni alla Camera. Anche qui i presidenti di varie commissioni hanno scelto di non sfidare Trump e i suoi collaboratori seguendo la strada giudiziaria per costringerli a testimoniare. Si sapeva che il 45esimo presidente avrebbe risposto con azioni legali che prenderebbero troppo tempo e quindi i ritardi gli avrebbero fornito una scappatoia. Nel caso dell’Ucrainagate, però, la Camera ha agito fissando uno dei capi d’accusa dell’impeachment sull’abuso di potere basato in buona parte sugli sforzi del presidente di bloccare le indagini.

Biden dunque con la sua dichiarazione iniziale di rifiutare un atto di comparizione avrebbe fatto il gioco di Trump, aggiungendo legna al fuoco della demolizione delle istituzioni. La sua retromarcia ha ricondotto se stesso e il suo partito sulla strada giusta di rispettare le strutture costituzionali anche quando uno non è d’accordo con alcune procedure. Un imputato non può decidere di rifiutare la sua collaborazione perché  la giudica ingiusta.

A Trump interessano poco le istituzioni e infatti aveva promesso in campagna elettorale di asciugare il pantano di Washington. Con la sua condotta però il 45esimo presidente non ha fatto che allargare il pantano esistente, preoccupandosi solo della sua sopravvivenza politica. Il Partito Repubblicano lo ha coadiuvato in maniera quasi completa chiudendo non uno ma ambedue gli occhi sui comportamenti poco ortodossi e potenzialmente illegali dell’attuale inquilino della Casa Bianca.

Trump, come si ricorda, continua ad essere proprietario della sua azienda creando ovvi conflitti di interesse, beneficiando della pubblicità ogni volta che lui va a giocare nei suoi campi da golf o passa tempo nei suoi resort, violando la “emoluments clause” della Costituzione americana. Inoltre, nel caso del Russiagate, il 45esimo presidente ha fatto di tutto per ostruire la giustizia come ci dimostrano la dozzina di esempi inclusi nel rapporto finale di Mueller. Anche la recentissima uccisione del generale Kasem Soleimani, che presidenti americani democratici e repubblicani si erano rifiutati di realizzare, riflette un atto potenzialmente illegale dell’attuale presidente americano. Fino ad ora le spiegazioni dell’amministrazione di Trump sono state poco convincenti.

Nel caso dell’impeachment, Mitch McConnell, senatore del Kentucky e presidente del Senato, ha dichiarato subito dopo del voto alla Camera che lui stava preparando il processo nella Camera Alta con “la completa coordinazione dei legali alla Casa Bianca”. McConnell ha giocato a carte scoperte come se un giudice cooperasse con l’imputato, suggerendo che il verdetto sarebbe quello di innocenza.

Non dovrebbe sorprendere dunque la riluttanza di Nancy Pelosi, speaker della Camera, di inviare gli articoli di impeachment al Senato, sapendo che McConnell ha già deciso che Trump è innocente. La cautela della Pelosi avrebbe dovuto mettere pressione su McConnell di stabilire regole per un processo appropriato con l’uso di testimoni richiesti da ambedue le parti. Sembra che McConnell abbia deciso invece di fare un processo molto sbrigativo per stabilire l’innocenza di Trump  e cercare di lavare la macchia di impeachment stampata dalla Camera sulle spalle del presidente.

Considerando le azioni dell’attuale inquilino della Casa Bianca che spesso rasentano l’illegalità o a volte la riflettono completamente, i democratici hanno un duro e doppio compito. Da una parte, devono arginare i comportamenti di Trump, ma allo stesso tempo devono completare la loro agenda legislativa. Sotto la guida della Pelosi, infatti, la Camera ha approvato un centinaio di disegni di legge che sono stati però bloccati una volta arrivati al Senato. Nonostante la sua risicata maggioranza alla Camera Alta, McConnell è riuscito a mantenere compatti i senatori repubblicani, facendo il bello e brutto tempo, specialmente con l’approvazione di giudici conservatori che avranno un impatto decisamente negativo nei prossimi decenni.

I democratici sperano nelle prossime elezioni non solo per tentare la riconquista della Casa Bianca ma anche la maggioranza al Senato. In questa prospettiva il loro compito consiste di fare di tutto affinché il numero di elettori aumenti. Più cittadini votano, più alte le possibilità di azione governativa che benefici il Paese e in secondo luogo anche il resto del mondo, considerando il peso della politica estera americana.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com).

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