OSSERVATORIO AMERICANO/ I repubblicani spaventati da Trump e dalla Commissione sugli assalti al Campidoglio

di DOMENICO MACERI* – “Prego ancora che continuiamo ad avere 10 solidi patrioti”. Così Joe Manchin, senatore democratico del West Virginia, il quale spera di potere contare su 60 senatori (50 democratici e 10 patrioti repubblicani) per approvare la legge sulla Commissione che indaghi gli assalti al Campidoglio del 6 gennaio scorso.

Come si sa, le leggi al Senato sono soggette al filibuster, la regola che dà alla minoranza di 40 senatori il potere di bloccare la votazione sui disegni di legge. Si tratta di una regola antidemocratica che mira a proteggere misure potenzialmente esagerate dal divenire leggi. In realtà, il filibuster è stato abusato per fermare leggi importanti, specialmente nell’area di giustizia sociale.

La legge sulla Commissione del 6 gennaio è stata già approvata dalla Camera recentemente in maniera leggermente bipartisan con 35 voti repubblicani schierati coi democratici (252 sì, 175 no). Spicca fra i no  quello di Greg Pence, parlamentare dell’Indiana e fratello di Mike Pence, ex vicepresidente, il quale era stato una delle potenziali vittime degli assalti. Le grida di “impicchiamo Pence” furono lanciate da alcuni assalitori del Campidoglio e l’allora vicepresidente fu salvato dalle sue guardie del corpo.

La politica per Greg Pence è più importante della famiglia. Ma non solo per lui. La Commissione per fare chiarezza sulle ragioni degli assalti al Campidoglio spaventa i repubblicani, i quali vogliono dimenticare gli eventi poiché si sa che buona parte delle responsabilità per gli assalti ricadono su Donald Trump. L’ex presidente rimane tuttora leader e quasi padrone incontestato del Partito Repubblicano nonostante le recenti sconfitte del Gop. Al livello federale i repubblicani hanno perso la Casa Bianca e sono in minoranza nelle due Camere legislative. Da parte loro, i democratici vedono la Commissione come totalmente legittima, anche se con ogni probabilità ci guadagnerebbero per le elezioni del 2022. Ci guadagnerebbe anche il Paese vista la fragilità della democrazia il 6 gennaio.

La legge sulla Commissione è stata negoziata da rappresentanti democratici e repubblicani alla Camera. John Katko, il rappresentante repubblicano, parlamentare di New York, nominato dal leader Kevin McCarthy, ha detto di sentirsi tradito da suo capo. Katko è uno dei 35 repubblicani che hanno votato per l’approvazione della Commissione, la quale includerebbe 5 membri nominati dai democratici e 5 dai repubblicani. Il presidente sarebbe scelto da Nancy Pelosi, speaker della Camera, e il vice sarebbe nominato da McCarthy e Mitch McConnell, leader della minoranza al Senato. Si tratta di un accordo molto simile a quello della Commissione sugli attacchi terroristici venuti dall’esterno l’undici settembre 2001. Dopo le sue indagini il gruppo compilò un rapporto convincente che condusse a un riordinamento della sicurezza nazionale.

Questa volta però gli attacchi sono venuti dall’interno e il Partito Repubblicano è in grande misura responsabile. Quindi ci vuole patriottismo, come ha detto Manchin, per convincere i repubblicani a investigare e alla fine raccomandare misure che rafforzino il sistema democratico americano. Non sorprende dunque la riluttanza della leadership repubblicana. McCarthy e McConnell si sono dichiarati contrari anche se subito dopo il 6 gennaio ambedue avevano addossato all’allora presidente Trump la colpa degli attacchi.

Nonostante i cinque morti e centinaia di feriti e 400 arresti, i repubblicani hanno cambiato la narrazione, cercando di addossare la colpa degli assalti al gruppo dei Black Lives Matter e altri gruppi di sinistra. Alcuni hanno persino sostenuto che non si è trattato di nulla di serio. Se McCarthy e McConnell hanno cambiato idea, però, lo si capisce solo in chiave politica ma anche a livello personale. La Commissione indipendente avrebbe il potere di chiamare a testimoniare sotto giuramento parecchi parlamentari repubblicani, incluso persino McCarthy. Il leader della minoranza repubblicana avrebbe telefonato a Trump durante gli assalti pregandolo di fermare gli attacchi già in corso al Campidoglio. Secondo la parlamentare Jaime Herrera Beutler (terzo distretto, Washington), la conversazione fra i due sarebbe stata accesa e Trump avrebbe detto che “gli assalitori si preoccupano dell’elezione più di McCarthy”.

Non c’è dubbio che McCarthy vorrebbe evitare di essere chiamato a testimoniare, ma il pericolo per il suo partito verte però sulle conseguenze politiche. Le eventuali testimonianze e sequenze televisive delle procedure metterebbero in cattiva luce il suo partito erodendo le buone possibilità di vittoria nelle elezioni di midterm del 2022.

L’incapacità di trovare il coraggio di affrontare gli eventi del 6 gennaio continua a dimostrare che quando c’è da scegliere fra il partito e il Paese la maggior parte dei repubblicani opta per la strada che li conduce a mantenere il potere. In buona parte ciò si deve alla paura inoculata da Trump sui suoi “nemici”. Ne sa qualcosa Liz Cheney, fino a qualche settimana fa numero 3 nella leadership repubblicana alla Camera, ma fatta fuori per le sue dichiarazioni anti-Trump. La Cheney ha anche spiegato che molti altri repubblicani avrebbero votato per l’impeachment a Trump all’inizio del 2021 eccetto per il clima di paura imposto da Trump al suo partito. Cheney, in un’intervista televisiva, ha dichiarato che alcuni parlamentari le hanno confessato di “temere per la loro vita” a causa dei feroci potenziali attacchi da parte di sostenitori dell’ex presidente. La tesi di essere lui il legittimo presidente è stata ribadita da Trump ed è creduta da una maggioranza di elettori repubblicani. L’insistenza di Trump sulla “big lie” (la grande menzogna) dell’elezione rubata, continua a dominare l’ambiente politico dei repubblicani. In effetti, il tentativo di dimenticare gli eventi del 6 gennaio, fa parte della strategia di continuare a contestare qualunque risultato elettorale futuro. Trump e la stragrande maggioranza del Partito Repubblicano hanno abbracciato il concetto che la realtà non è affatto obiettiva ma si può creare, a seconda dei propri desideri. Ci vuole coraggio per combattere Trump e quelli che lo hanno, come Cheney, sono pochissimi.

La strategia di un partito perdente è sempre di cambiare la piattaforma per conquistarsi altri elettori. I repubblicani non lo stanno facendo e continuano a rifugiarsi dietro di Trump. Sembra però che il controllo dell’ex presidente sia in calo. Ce lo conferma un sondaggio condotto dalla Nbc e Wall Street Journal secondo cui il numero dei fedeli nella base di Trump è sceso dal 94 al 75 per cento. Una Commissione approvata dal Senato con udienze e testimoni eroderebbe le chance dei repubblicani, non solo di Trump, ma anche sulle possibilità della loro conquista di maggioranza alle camere legislative. Da aggiungere anche che i più recenti sondaggi sorridono a Biden. Il 62 per cento degli americani lo vede in termini positivi fino a questo mese. Da comparare che Trump nel mese di maggio del 2017 riceveva solo il 45 per cento di gradimento.

L’approvazione in Senato della Commissione d’inchiesta sembra essere in salita anche se una mezza dozzina di repubblicani ha adombrato il suo supporto. McConnell, secondo Politico, un giornale online, avrebbe detto ai suoi colleghi di opporsi alla formazione della commissione perché “danneggerebbe il messaggio politico del partito” alle prossime elezioni. Manchin, reagendo con delusione a queste affermazioni, ha dichiarato che questa situazione impone di mettere “il Paese prima della politica”. Sarà questa la situazione a convincerlo che il filibuster meriti l’eliminazione?

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@hotmail.com).

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