OSSERVATORIO AMERICANO/ Da Obama a Trump transizione spinosa

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* -“Sto facendo del mio meglio per non prestare attenzione alle numerose dichiarazioni infiammatorie e gli ostacoli da parte del presidente Obama. Pensavo sarebbe stata una transizione tranquilla —e invece— NO”. Così si legge in uno dei recentissimi tweet del presidente eletto Donald Trump. Solo sei ore più tardi in una breve dichiarazione ai giornalisti Trump affermava il contrario dicendo che “tutto va bene, benissimo”.

Che cos’era successo? Fra le due dichiarazioni Trump aveva parlato con Barack Obama e evidentemente tutto era stato chiarito fra il presidente ancora in carica e quello che prenderà le redini  fra breve. La vittoria di Trump non ha fatto piacere a Obama il quale aveva partecipato attivamente alla campagna elettorale supportando Hillary Clinton. Il giorno dopo l’elezione però l’attuale inquilino alla Casa Bianca incontrò il vincitore dell’elezione  per congratularsi con lui e cominciare il processo di transizione di potere. Tutto andò benissimo e Trump ebbe parole dolcissime su Obama dicendo che andranno d’accordo nonostante alcune differenze di opinione.
La storia americana ci dice che  il sistema democratico si caratterizza della pacifica transizione di potere fra un’amministrazione e un’altra anche quando il  presidente uscente e quello entrante sono in partiti diversi. C’è anche una tradizione che esiste solo un presidente alla volta e che il presidente eletto non rilascerà dichiarazioni che potranno contraddire la politica del presidente in carica.
Trump ha ignorato in grande misura questa tradizione di lasciare campo libero al presidente in carica. A cominciare dalla sua telefonata con il primo ministro pakistano causando costernazione con l’India. E’       seguita un’altra telefonata con il presidente di Taiwan suscitando proteste dalla Repubblica Popolare Cinese.
Trump ha poi dichiarato la sua opposizione al mancato sostegno degli Stati Uniti a Israele nel voto alle Nazioni Unite contraddicendo la politica di Obama. Il presidente eletto ha anche comunicato a Israele di resistere perché il 20 gennaio, giorno del suo subentro ufficiale  alla Casa Bianca, si sta avvicinando.
Ma l’interferenza più notevole di Trump alla politica di Obama è avvenuta con le sue dichiarazioni sulla Russia. Dopo l’annuncio di Obama che i russi hanno hackerato l’elezione americana, Trump ha dichiarato che non ci sono prove accusando anche la Cia di essere incompetente perché i suoi vertici furono responsabili delle informazioni errate su Saddam Hussein. In mancanza di informazioni precise Trump spara grosso sapendo benissimo che la Cia non può difendersi pubblicamente. Il messaggio ricevuto dall’intelligence è che se le informazioni non piacciono al presidente eletto sparerà sui messaggeri.
Per punire i russi e le loro presunte interferenze Obama ha dichiarato che vi saranno ritorsioni in momenti opportuni. Una di queste azioni è stata la recentissima espulsione di 35 “agenti russi” che avrebbero agito sotto copertura diplomatica. Ha fatto seguito poco dopo la chiusura di due compound in Usa usati dall’intelligence russa. Si aspettava una reazione simile da Putin, il quale però ha sorpreso tutti dicendo che non effettuerà espulsioni di diplomatici americani. Il leader russo ha fatto anzi gli auguri  di “buon anno alla famiglia Obama e tutti gli americani”. Una maniera per dire che Obama adesso conta poco perché ha un piede fuori dalla Casa Bianca e Trump sta per entrarci.
Putin aveva in precedenza mandato una lettera a Trump nella quale auspicava che una volta assunta la carica possa operare con lui “in modo costruttivo e pragmatico per ripristinare la collaborazione bilaterale in diverse aree”. In effetti, Putin ha cercato di mettere da parte Obama rivolgendosi direttamente al presidente eletto.
I rapporti di Trump con Putin erano già “amorevoli”, come si era visto durante la campagna elettorale, quando l’allora candidato repubblicano dichiarò che se il leader russo dice “parole gentili su di lui” non esiterà a ricambiarle. Commentando la mancata espulsione di diplomatici americani da Mosca, Trump ha detto che si trattava di una “grande mossa di Vladimir Putin” e che lo ha sempre considerato “molto intelligente”. Indiretta, ma facilmente comprensibile, la stoccata a Obama.
In effetti, Trump si è intromesso nella politica estera di Obama cercando di ostacolare le ultime settimane dell’attuale presidente. In tal modo il presidente eletto ha infranto la “regola” secondo cui in America esiste solo un presidente che merita campo libero anche se si trova alla fine del suo mandato.
Quando stava per uscire dalla Casa Bianca, nel 2001, Bill Clinton disse che avrebbe lasciato spazio a George Bush, il presidente entrante, di governare, e che sarebbe divenuto un “cittadino utile…. senza però porre ostacoli” al suo successore. Bush, da parte sua, alla fine del suo mandato nel 2009 fece esattamente la stessa cosa con Obama. Quest’ultimo però non rimarrà muto con Trump alla Casa Bianca, specialmente se il presidente entrante cercherà, come promesso in campagna elettorale, di smantellare il lavoro compiuto negli ultimi otto anni da Barack Obama.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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