OSSERVATORIO AMERICANO/ Breyer e l’immigrazione: la Corte Suprema influenzata dalla politica?

di DOMENICO MACERI* – “La fedeltà dei giudici deve riferirsi alla  osservanza della legge, non al partito politico che li ha aiutati a ottenere l’incarico”. E’ un concetto che Stephen Breyer, uno dei nove giudici della Corte Suprema americana, ribadisce nel suo nuovo libro,  “The Authority of the Court and the Peril of Politics” (L’autorità della Corte e il pericolo della politica), che uscirà fra pochi giorni, edito dalla Harvard University. Breyer voleva ovviamente ribadire il principio dell’indipendenza delle toghe. Non stupisce l’asserzione, ma la politica nel sistema giudiziario spesso emerge almeno nella mente dei cittadini americani informati, ma anche di tanti altri che seguono sporadicamente le sentenze della Corte Suprema. Uno di questi casi recenti serve da esempio per chiarirci il mix fra sistema giudiziario e politica.

In una delibera adottata con una maggioranza di 6 membri a favore e 3 contrari la Corte Suprema ha respinto il ricorso dell’amministrazione di Joe Biden, che proponeva di abbandonare il Migrant Protection Protocols (MPP), una misura sull’immigrazione creata da Donald Trump. Per ridurre il numero dei rifugiati centroamericani negli USA, il 45esimo presidente aveva concluso un accordo internazionale per mantenere i richiedenti asilo nel Messico mentre il lento sistema giudiziario americano esaminava i loro casi. Trump aveva negoziato l’accordo per ridurre il numero sempre crescente di rifugiati, interpretando i continui flussi verso la frontiera come un’invasione, mantenendo la sua linea “dura” contro gli immigrati.

L’accordo, MPP, “Remain in Mexico”, siglato nel 2019, era stato sospeso per 17 mesi, ma il 13 agosto dell’anno in corso il giudice federale Matthew J. Kacsmaryk, ha ordinato il suo ripristino. Kacsmaryk ha giudicato legittima la richiesta di Greg Abbott e Mike Parson, ambedue repubblicani, rispettivamente governatori del Texas e del Missouri. I due hanno giustificato la loro richiesta motivandola con l’onere delle spese dei loro Stati per la presenza di questi rifugiati. L’amministrazione di Biden ha reagito chiedendo alla Corte Suprema di bloccare la decisione di Kacsmaryk. La Corte Suprema ha deciso però di mantenere l’ordine del giudice federale e di dare tempo alla Corte di Appello del Quinto Circuito di decidere il caso.

Si tratta dunque di una sconfitta, almeno temporanea, per Biden, che adesso si vede obbligato a riprendere le negoziazioni con le autorità messicane. Lo farà controvoglia, ma la Corte Suprema ha anche dato l’incarico a Kacsmaryk di assicurarsi che Biden la prenda sul serio. In caso contrario vi potrebbero essere altre conseguenze legali, che la Corte Suprema ha conferito a Kacsmaryk.

Né Kacsmaryk né la Corte Suprema hanno considerato la triste situazione dei rifugiati, molti dei quali sfuggono alle violenze dell’America Centrale. Impedire l’ingresso negli Usa non cancella i pericoli per la loro vita poiché la sicurezza in Messico non è poi tanto maggiore dei loro Paesi di origine. Dall’inizio del MPP nel 2019 i rifugiati hanno subito soprusi dentro i confini del Messico. Human Rights First, un’associazione in difesa dei diritti umani operante negli Usa, ha redatto un rapporto in cui si forniscono dati relativi a 1550 casi di abusi che includono morti, stupri, sequestri contro i migranti costretti a rimanere nel Messico.

Le negoziazioni fra Biden e il Messico potrebbero facilmente andare a monte se le autorità messicane decidono di non cooperare e rifiutarsi di accettare questi rifugiati nel loro territorio. In passato, dopo la richiesta iniziale, i migranti venivano lasciati sul territorio americano aspettando la data del processo. Frequentemente, però, non si presentavano ed entravano nel mercato del lavoro illegalmente. Trump voleva proprio evitare il loro accesso per limitare o eliminare queste situazioni.

La decisione temporanea della Corte Suprema sembrerebbe avere poco a che fare con la politica, ma si tratta proprio del contrario. A cominciare dal fatto che Kacsmaryk era stato nominato da Trump. C’è poi ovviamente il costante conflitto politico fra i governatori repubblicani e il presidente democratico. Kacsmaryk ha chiarito che la necessità di restaurare il MPP era dovuta alla crescente pressione dei rifugiati al confine. In effetti ha usato una giustificazione politica e non legale. Ha spiegato che il Missouri e il Texas ne facevano le spese per fronteggiare i costi provocati da questi rifugiati per quanto riguarda sia la sanità sia l’istruzione dei loro figli. Fare ricorso al sistema giudiziario spesso è l’unico modo per risolvere i conflitti. In questo caso la Corte ha deciso di rimandare tutto e probabilmente riconsiderare il caso nei prossimi mesi. Nel frattempo, l’immigrazione, su cui la competenza è del governo federale e non di quelli statali, viene affidata alla competenza degli Stati, grazie al ruolo avuto dal giudice Kacsmaryk.

La decisione della Corte Suprema sul MPP conferma la linea poco chiara che esiste fra legalità e influenza delle considerazioni politiche. Il giudice Breyer non vede queste acque sporche. Per lui tutto è limpido e cita l’indipendenza della Corte Suprema, facendo riferimento al fatto che, nonostante i suoi dissensi giudiziari espressi per iscritto, il sistema funziona.

La richiesta di Trump alla Corte Suprema di ribaltare l’elezione del 2020 è stata respinta. Il fatto che Trump abbia nominato 3 degli attuali 6 giudici, scelti da presidenti repubblicani e solo 3 da presidenti democratici, non gli è servito a nulla per il suo obiettivo di far annullare il voto delle elezioni presidenziali. Breyer aggiunge inoltre che la Corte Suprema ha votato 3 volte per mantenere l’Obamacare, la riforma sanitaria del 2010 approvata durante la presidenza di Barack Obama. Breyer però non sembra avere capito che la politica a Washington è divenuta tossica negli ultimi anni. Il giudice sembra essere rimasto ancorato  agli anni novanta, quando lui fu nominato da Bill Clinton e confermato dal Senato con un voto schiacciante (87 sì e 9 no). Un evento inconcepibile oggi: Breyer non tocca neanche il tasto dell’ipocrisia di Mitch McConnell, senatore repubblicano del Kentucky e presidente del Senato fino a gennaio del 2021, che ha “rubato” uno dei seggi alla Corte Suprema al presidente Obama.

Va ricordato che con la morte del giudice conservatore Antonin Scalia all’inizio del 2016, McConnell si rifiutò di sottoporre la nomina di Merrick Garland alla conferma perché si trattava di un anno di elezioni presidenziali. Quando però poi Trump nominò Amy Coney Barrett per sostituire Ruth Bader Ginsburg, McConnell la fece confermare in tempi rapidissimi con l’elezione del 2020 già in corso, creando una maggioranza di 6 a 3 a favore dei giudici del suo partito. Breyer chiude gli occhi a queste considerazioni politiche ma Biden non lo ha fatto. Ecco perché ha istituito una commissione per studiare possibili riforme sulla Corte Suprema. Le raccomandazioni della Commissione dovrebbero arrivare fra breve. Il più presto possibile andrebbe bene per ristrutturare la Corte Suprema, che pende a destra, anche se Breyer non lo riconosce. Le ultimissime notizie ne confermano l’emergenza. La Corte Suprema, con un voto di 5 a 4, si è rifiutata di sospendere la nuovissima legge draconiana del Texas, che proibisce l’aborto dopo sei settimane di gravidanza, anche in caso di stupro o incesto.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@hotmail.com).

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