OSSERVATORIO AMERICANO/ Adam Schiff e l’impeachment di Trump: i repubblicani verso l’assoluzione

di DOMENICO MACERI* – “Devo ammettere che Schiff è molto, molto efficace”. Le parole di ammirazione per Adam Schiff, il leader dei sette “manager” della Camera nel processo al Senato per l’impeachment di Donald Trump, sono uscite dalla bocca del senatore James Inhofe, repubblicano dello Stato dell’Oklahoma. Inhofe ha già chiarito che intende votare per assolvere Trump ma allo stesso tempo ha riconosciuto il lavoro brillante di Schiff. Anche il senatore Lindsey Graham, repubblicano del South Carolina, grande sostenitore del 45esimo presidente, si è congratulato personalmente con Schiff.

Quando l’ammirazione viene dagli amici ha valore ma quando viene espressa dagli avversari diventa prova lampante di merito. Schiff, infatti, ha svolto il suo compito in maniera esemplare. Gli ultimi dieci minuti del suo discorso al Senato, durato più di un’ora, sono stati ritwittati da 6 milioni di utenti. Schiff, parlamentare della California, è anche il presidente della Commissione Intelligence alla Camera. Per le sue qualità di leadership, la speaker Nancy Pelosi lo aveva scelto per dirigere il processo al Senato contro Trump.

Il presidente della Commissione Intelligence ha condotto le giornate del processo con logica e metodologia che riflette la sua esperienza di procuratore federale in California ma anche per avere servito nell’impeachment di Samuel Kent e Thomas Porteous. Kent, giudice federale nel Texas, si dimise prima della conclusione del processo al Senato. Porteous, giudice federale in Louisiana, fu condannato dal Senato e perse la sua licenza di avvocato nel suo Stato.

Nel suo discorso finale al Senato Schiff si è concentrato non sugli aspetti legali per reiterare la necessità di condannare Trump ma su quelli emotivi. Schiff ha riconosciuto che, al di là della legalità, il Senato non è un tribunale tipico. I 100 senatori non sono solo i giurati ma anche i giudici, nonostante la presenza del Presidente della Corte Suprema John Roberts, che guida il processo soprattutto in maniera formale.Un processo criminale richiede l’unanimità del voto dei giurati per la condanna. Nell’impeachment bastano solo i due terzi (67 voti).

Schiff ha sottolineato non solo il fatto che Trump ha sospeso l’assistenza all’Ucraina per ottenere vantaggi politici con l’annuncio di un’indagine su Joe Biden, suo probabile avversario all’elezione di novembre. Il presidente della Commissione Intelligence ha sottolineato che la condotta di Trump in Ucraina non è un’eccezione, ma un suo modus operandi.  Riflette una politica che antepone i suoi interessi personali a quelli del Paese. Schiff ha chiesto ai 100 senatori di considerare il danno che Trump causerà non solo al Paese, ma anche alla Costituzione americana. Avrebbe potuto aggiungere che il pericolo di Trump si è ampliato con i licenziamenti di collaboratori di un certo spessore sostituiti da adulatori servili. Per Schiff, il 45esimo presidente rappresenta un pericolo per il Paese poiché “la verità è importante” e senza la verità “siamo perduti”.

Schiff ha continuato sfidando i senatori a trovare il “coraggio morale” di condannare Trump e a non cadere nella trappola delle sue minacce, facendo notare che il 45esimo presidente e i suoi seguaci attaccano su Twitter chiunque gli sbarri la strada. Schiff ha esortato i senatori a dimostrare il coraggio che parecchi funzionari della stessa amministrazione Trump hanno dimostrato, testimoniando contro la condotta illegale del loro capo. In particolare Schiff ha messo in rilievo la figura del colonnello Alexander Vindman, direttore del Consiglio degli affari per la Sicurezza Nazionale, in servizio alla Casa Bianca. Vindman ha testimoniato alla Camera che la richiesta di Trump al presidente Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, di aprire un’indagine sulla presunta corruzione di Joe Biden e del figlio Hunter, non era solamente “inappropriata” ma anche pericolosa per le sue “notevoli implicazioni sulla sicurezza nazionale americana”.

Schiff ha anche reiterato ai senatori l’importanza di richiedere le testimonianze di individui che hanno esperienza diretta con lo scandalo dell’Ucrainagate. In particolare, il parlamentare californiano ha sottolineato la necessità di richiedere la testimonianza di John Bolton, ex consigliere della Sicurezza Nazionale che Trump ha licenziato nel mese di settembre del 2019. Bolton ha scritto un libro, la cui bozza è stata inviata alla Casa Bianca per revisione prima di essere pubblicata. Vi si legge, secondo il New York Times, che Trump avrebbe parlato a Bolton della sua intenzione di sospendere l’assistenza all’Ucraina per forzare l’annuncio dell’indagine su Biden. Proprio in queste ore veniamo informati che il 45esimo presidente ha inviato una lettera all’editore, proibendone la pubblicazione per ragioni di sicurezza nazionale. Bolton causa paura come fanno altri possibili testimoni. Se Trump fosse veramente innocente, come dicono i suoi avvocati, non esiterebbe a presentare prove che lo scagionino. Ma lui le nasconde perché sa benissimo che la verità è pericolosa per la sua sopravvivenza da presidente.

McConnell e Trump avevano fretta di ottenere una assoluzione prima del 4 febbraio, data del discorso presidenziale al Congresso sullo Stato dell’Unione. Se il voto sulla condotta del presidente si avrà invece, a meno di un improbabile colpo di scena, il 5 febbraio, Trump sarà costretto a presentarsi ai parlamentari e ai senatori con la macchia non lavata dell’impeachment. La sua assoluzione prescinderà dalle  sue azioni illegali usate per la rielezione alla Casa Bianca. Significa che avrà campo libero per richiedere aiuti ad altri Paesi. I repubblicani, con il loro sostegno a Trump, hanno confermato di anteporre gli interessi del loro partito e del loro presidente a quelli della nazione. Il danno alla Costituzione americana sarà permanente, eliminando i guardrail, anche per i futuri presidenti, contro la possibilità di abusare del loro potere per essere rieletti. Schiff sembra avere perso. Ma meglio perdere con onore che macchiarsi di complicità.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).  

 

Commenta per primo

Lascia un commento