PERISCOPIO/ Se le “bufale” elettorali snobbano i tabelloni

di GIOVANNI PEREZ – La campagna elettorale si avvia verso la conclusione, ma sono rimasti quasi ovunque in gran parte vuoti gli spazi dei tabelloni installati nelle strade e nelle piazze dai Comuni come di consueto e come per legge. Ormai quei tabelloni stanno svanendo persino nella memoria collettiva, tanto che passano quasi inosservati, a differenza del passato, quando,  negli ormai lontanissimi anni delle elezioni ma anche più recentemente, c’era una gara tra gli attacchini dei partiti ad accaparrarsi e persino a «rubarsi» quegli spazi. Nel dopoguerra, dopo la Liberazione, sul finire degli anni `40 e negli anni  ‘50/’60, i tabelloni non esistevano ancora: erano anni in cui le facciate dei palazzi erano letteralmente tappezzate dai manifesti dei partiti in lotta: dalla Democrazia Cristiana al Partito Comunista e, sia pur in forma più ridotta, dal Partito Repubblicano, dai Socialisti di Nenni o di Saragat, dal Msi di Almirante. Ogni metro di muro degli edifici era conteso dai partiti. A volte i ragazzi venivano “arruolati” per poche lire e pagati “a cottimo”: qualche lira per ogni manifesto che affiggevano. Un “incentivo” che a volte finiva per provocare qualche rissa: accadeva quando i ragazzi di due opposti partiti volevano affiggere i manifesti del “loro” partito sui muri di un certo palazzo in un punto strategico della città. Qualcuno vinceva la “gara”, ma era una vittoria di Pirro. Gli “avversari” attendevano che i “nemici” affiggessero i loro manifesti e si allontanassero per ricoprirli con i loro, ma per poco: cioè fino al ritorno dei primi che avevano occupato quello spazio. Una “guerra” che spesso finiva male: con delle furiose risse a suon di pugni, ma dove non comparivano mai coltelli o pistole.

A volte accadeva anche che qualche ragazzo, stanco di attaccare manifesti o non sapendo più dove affiggerli perché tutti gli spazi dei palazzi erano ormai occupati, se ne liberasse gettandoli in qualche discarica. Nella mia Bolzano uno dei luoghi preferiti erano le rovine bruciacchiate del cinema Dante che i bombardamenti avevano distrutto.

Gli anni erano passati e le proteste di molti proprietari di casa e amministratori di condomini, si erano fatte sempre più vivaci per le ingenti somme che dovevano spendere per ripristinare le facciate degli edifici invasi dai manifesti. Così le pubbliche amministrazioni avevano deciso che era giunta l’ora di cambiare sistema. E vennero installati dei tabelloni realizzati con dei tubi «Innocenti» che sorreggevano delle lastre di metallo assegnate alle varie liste in porzioni rigorosamente ripartite tra varie formazioni politiche in lizza.

Poi, con l’avvento della filosofia “un televisore in ogni famiglia”, si è constatato che la gente presta sempre meno attenzione ai manifesti e diserta sempre più anche i comizi in piazza: preferisce starsene a casa e seguire sin tv le tenzoni oratorie dei candidati o dei loro supporter. E infatti, secondo le indagini demoscopiche, è ancora il piccolo schermo la fonte a cui prevalentemente gli italiani si rivolgono per orientarsi alla vigilia delle elezioni. Strumento che anche i politici preferiscono, perché le chiacchiere e le promesse sulla carta (quella dei manifesti e, soprattutto, dei giornali) restano: verba voltant, scripta manent. Ma cresce il numero di coloro che si affidano, più frettolosamente, a uno schermo ancor più piccolo perché tascabile: quello dello smartphone. E cresce, contemporaneamente, il numero di coloro che lo sfruttano per veicolare balle, dette anche «bufale». Finché questi preziosi quadrupedi non si saranno imbufaliti.

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