ORA DI PUNTA/ Se il Pd punta al “tanto peggio tanto meglio”

di ENNIO SIMEONE – Il Partito democratico, se insisterà nell’impedire che l’Italia abbia un governo, è destinato, oltre che alla retrocessione nella serie dilettanti del campionato della politica,  a naufragare nella irrilevanza.  Le tv ci hanno mostrato per tutta la serata di ieri i musi lunghi di due dei quattro componenti della delegazione mentre il segretario reggente, Martina, riferiva alla stampa sull’incontro avuto con il presidente della Camera, Roberto Fico, incaricato dal capo dello Stato di “esplorare” le condizioni per la formazione di un governo sulla base di una intesa tra il M5s e il Pd, cioè tra i due partiti che il 4 marzo hanno ottenuto la percentuale di voti più alta, dopo che era fallito l’analogo tentativo indirizzato all’ipotesi di accordo tra la coalizione (si fa per dire) di centrodestra e i Cinquestelle. Matteo Orfini (l’uomo che organizzò la sfiducia al sindaco di Roma del suo stesso partito di Roma, Ignazio Marino, nello studio di un notaio anziché nell’aula del Consiglio Comunale) era funereo mentre meditava sulla dichiarazione demolitrice delle dichiarazioni di Martina che avrebbe affidato di lì a poco alle agenzie. Il capogruppo del Pd alla Camera, Marcucci, sembrava impegnato nel tentativo di ingoiarsi i baffetti per reprimere la rabbia. E subito dopo hanno dato la stura al loro livore il paladino renziano nella Commissione di vigilanza sulla Rai, Anzaldi, l’ex prodiano Gozi e l’ex bersaniana Moretti.

Il loro argomento, sempre lo stesso, è di una sfacciataggine avvilente: “Tocca ai vincitori fare il governo”. Costoro sanno benissimo che la legge elettorale “Rosatellum” (dal nome dell’ex capogruppo pd alla Camera, Rosato, scritta e approvata dal Pd d’intesa con Forza Italia), con la quale si è votato il 4 marzo, non ha dato a nessuno degli schieramenti in campo un numero di deputati e senatori tale da garantire la maggioranza parlamentare indispensabile per assicurare la fiducia al governo. Pertanto è indispensabile a tale scopo che ci sia un accordo tra alcune forze politiche. Questo accordo non è stato raggiunto nella trattativa tra M5s e Centrodestra perché Salvini non ha accettato il no di Di Maio alla partecipazione del partito di Berlusconi. Il presidente Mattarella ha pertanto voluto verificare se la propensione manifestata da Di Maio per una intesa con il Pd abbia la possibilità di concretizzarsi.

Se dal Pd arriva un rifiuto, accompagnato dall’invito ai “vincitori” a formare il governo, vuol dire che, infischiandosene dei problemi degli italiani, sceglierebbe la strada del “tanto peggio, tanto meglio”, che porta o ad una alleanza del M5s con Berlusconi o allo scioglimento delle Camere e al ritorno forzato degli italiani alle urne. Ma poi ne pagherebbe il prezzo, ancor più caro di quello che sta pagando ad ogni consultazione elettorale.

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