L’ultima pesante dichiarazione di voto sul referendum è arrivata, a sorpresa, da Romano Prodi. Sorpresa perché resa pubblica ad appena 72 ore dall’apertura delle urne; sorpresa perché ha contraddetto la promessa, ribadita più volte in questi mesi, di astenersi dal rivelare la sua scelta; sorpresa perché si sa che se Prodi fu bruciato nella corsa al Quirinale lo deve a Matteo Renzi. Sorpresa attenuata però dalla motivazione del suo Sì. Per la quale ha fatto ricorso a una metafora emiliana da far invidia a Bersani. Una metafora che, persino con perfidia, avvolge quel Sì in un involucro di No. Insomma molto “democristiana”. A differenza di quelle grossolanamente allusive del “comunista” Bersani.
E, parlando di “decisione sofferta”, Prodi spiega: «Mi viene in mente mia madre che, quando da bambino cercavo di volere troppo, mi guardava e diceva: “Romano, ricordati che nella vita è meglio succhiare un osso che un bastone”». E in che cosa consiste questo “osso”? Ecco la sua spiegazione: «Le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia sento di dovere rendere pubblico il mio sì nella speranza che questo giovi al rafforzamento della nostre regole democratiche, soprattutto attraverso la riforma della legge elettorale».
Qualcosa che somiglia al sì del filosofo Cacciari che dice (e con lui parecchi altri) “questa riforma è una porcheria, ma meglio di niente” (il minimalista adagio “meglio l’uovo oggi che la gallina domani”), come se si trattasse di una leggina qualunque o del rinnovo di un contratto di lavoro che l’anno successivo si può cambiare, e non della modifica, pasticciata, di un terzo dell’intera Carta Costituzionale.
Ecco perché il Sì di Prodi provoca uno stimolo a votare No. Ricorda una barzelletta che circolava ancora cinquant’anni fa, all’epoca dei grandi scontri tra Pci e Dc: un vecchio comunista in punto di morte esprime come ultima volontà quella di prendere la tessera della Democrazia cristiana, e allo sbalordimento dei familiari risponde con un filo di voce: “Così ci sarà un democristiano in meno”. Faceva pendant, per contrapposizione, con la malinconica invocazione degli incalliti elettori di sinistra ad ogni scadenza elettorale: “Non voglio morire democristiano!”. Che, forse, vale ancora oggi.
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