ORA DI PUNTA/ L’import-export nel pallone e le lacrime di Buffon

di ENNIO SIMEONE – Come la gran parte dei vecchi giornalisti, ho fatto la “gavetta” scrivendo di sport, quasi esclusivamente di calcio, che avevo praticato da ragazzo nella squadra del paesino dell’Irpinia dove mio padre era segretario comunale. Per imparare a scriverne leggevo assiduamente un settimanale, “Calcio illustrato” , perché i commenti supportati dalle foto – benché in bianco e nero – aiutavano a reinterpretare le leggendarie radiocronache di Nicolò Carosio – famoso per il “quasi gol!” – che anni più tardi sarebbero state sbiadite, nella fantasia dei tifosi, dall’irrompere della televisione. Ma da quando cominciai a salire i primi gradini verso il professionismo giornalistico, di calcio  e di sport non mi sono più occupato direttamente. Me ne sono interessato solo da tifoso della Nazionale, perché Il mio interesse per il campionato è andato scemando a mano a mano che venivano sfondati i limiti all’ingaggio di calciatori stranieri.

Oggi, non solo quando si parla senza freni di calcio in tv ma anche quando si trasmettono telecronache di partite di campionato, cambio canale.

Sia ben chiaro: non è esterofobia. Semplicemente non  mi va di fare il tifo per una maglia. Vorrei farlo per chi la indossa. E vorrei che chi la indossa la difendesse non perché è profumatamente pagato ed è pronto a cambiarla per cambiarla con quella di chi lo paga meglio, ma perché ha un legame, sente una qualche appartenenza a quei colori. Se avessi il potere in materia arriverei a vincolare l’ingaggio di un atleta (non soltanto nel calcio, ovviamente) alla sua appartenenza almeno alla regione di residenza.

So che esagero, anzi che sto bestemmiando agli occhi di gran parte di coloro che mi stanno leggendo, ma lo scrivo egualmente per tentare di dare una risposta alle domande angosciate che si pongono oggi tifosi e commentatori d’ogni sorta di fronte all’esclusione dell’ìItalia dai prossimi Mondiali di calcio dopo la “non vittoria” (il ct della Nazionale Ventura… come Bersani quando era segretario del Pd) degli azzurri contro la Svezia e le lacrime di Buffon davanti alle telecamere della Rai.

Finalmente tra quei commentatori c’è chi scrive che il nostro calcio si sta inaridendo per la dipendenza di tutte le squadre (e non solo quelle di serie A!) da una campagna acquisti che si fonda sempre più sui mercati esteri, mentre abbiamo fior di campioni in erba nei campetti di periferia che vengono tenuti ai margini delle scuole di calcio invece di coinvolgerli per  arricchire i vivai da cui attingere energie, entusiasmi, materiale umano di prim’ordine per dare nuova linfa a tutto il calcio italiano.

La domanda che mi pongo senza trovare una risposta convincente è questa: quali interessi impediscono che ciò accada? E come mai continuiamo ad importare calciatori dall’estero e ad esportare allenatori e commissari tecnici nei paesi di provenienza di quei giocatori?

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