ORA DI PUNTA/ I “nuovi partiti” come la vecchia Democrazia cristiana?

di  SERGIO SIMEONE – Molti, soprattutto a sinistra, di fronte all’intensificarsi dei contatti tra cinque stelle e lega, si stanno fregando le mani. Ecco, pensano costoro, tra poco andranno a sbattere. E così qualcuno pensa che non riusciranno ad arrivare ad un accordo perché le aspettative dei rispettivi elettorati sono radicalmente diverse: qualche altro pensa che magari un accordo riusciranno a stipularlo ma non riusciranno a gestirlo; qualche altro ancora pensa che anche se arrivassero a raggiungere un accordo e dessero vita ad un governo, al primo tentativo di dare attuazione alle promesse fatte prima delle elezioni si troverebbero davanti al muro delle regole europee, col conseguente pericolo di far trovare gli italiani con la troika in casa. Insomma comunque un disastro.

Ma le cose potrebbero andare anche diversamente. A pensarci bene, le diversità tra le due forze politiche possono rivelarsi non una debolezza, ma un punto di forza. Mi spiego. Sia Di Maio che Salvini sanno che i rispettivi programmi così come formulati nella fase preelettorale (dalla impossibilità di espandere il debito pubblico alla necessità di rispettare le regole europee). Il reddito di cittadinanza potrà attuarsi solo se trasformato in una specie di reddito di inclusione un po’ allargato e la flat tax dovrà essere messa da parte per lasciare il passo ad una una serie di agevolazioni fiscali alle imprese. Come potranno i due leader giustificarsi per queste retromarce di fronte ai propri elettorati? Ebbene ognuno dei due leader costituirà un alibi per l’altro: io ero pronto a varare il reddito di cittadinanza, dirà Di Maio ai suoi, ma come sapete ho dovuto fare il governo con la Lega, che a questa misura è allergica; io ero determinato a riformare il fisco con la flat tax, dirà a sua volta Salvini, ma il mio alleato Di Maio si è opposto tenacemente. In conclusione ci ritroveremo, a dispetto del carattere rivoluzionario con cui si presentano queste forze politiche, nel solco della vecchia Democrazia cristiana, nella quale la politica era appunto mediazione tra interessi diversi ed a volte contrapposti.

La differenza tra la DC e questi nuovi partiti è che la prima, ricca di una solida cultura (a dottrina sociale della Chiesa) riusciva a mediare tra ceti e classi diverse e a volte contrapposte al proprio interno (annoverando tra i propri elettori imprenditori ed operai, contadini e proprietari terrieri ), i secondi, privi di  una propria cultura di riferimento, rappresentano separatamente i rispettivi ceti di riferimento nelle forme più elementari, per cui la mediazione dovrà passare (se passerà) attraverso l’accordo tra i due partiti e ad un livello molto basso (intolleranza per li fisco degli imprenditori del nord e richiesta di assistenza del Sud).

E la sinistra che cosa deve fare? Deve prendere atto innanzitutto che è fallito il tentativo di far diventare il Pd un partito di centro. Deve pertanto porsi l’obiettivo strategico di recuperare una identità di partito di sinistra. Come farlo? Come si faceva una volta. Impegnandosi a fare un’analisi seria delle caratteristiche del capitalismo oggi; individuando le sue contraddizioni e soprattutto individuando le forme nuove di sfruttamento del lavoro. Quei ceti che oggi soffrono per le nuove ingiustizie create dal capitalismo devono diventare il target di questo partito. Questo si può fare solo con un congresso serio, libero da ipoteche personalistiche o di gruppi di potere. Ma sarà questa la strada che imboccherà l’assemblea nazionale convocata per il 21 aprile?

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