“Non sarò il capo, ma il leader di una comunità“: così ha detto Nicola Zingaretti quando lo spoglio dei voti delle primarie del Pd è arrivato oltre il milione di schede e i consensi sul suo nome hanno superato il 60%, mentre quelli per i suoi due antagonisti si sono fermati sotto il 25% per Mancina e il 15% per Giachetti. L’importante era superare la soglia del 50%, perché il regolamento congressuale prevedeva che se nessuno dei candidati avesse superato quella soglia, la consultazione si sarebbe rivelata inutile e la scelta sarebbe spettata all’Assemblea nazionale del partito, di fatto nominata nella stragrande maggioranza da Renzi.
Poi la certezza si è avuta quando sia Giachetti che Martina lo hanno chiamato per congratularsi con lui e confermargli la loro collaborazione nel duro compito di ridare vitalità e unità al Pd, con l’obiettivo di farlo diventare una forza politica in grado di interpretare le istanze popolari che erano sempre state il pane quotidiano dei partiti della sinistra. Che poi è l’auspicio che ha spinto un numero superiore al previsto di votanti a mettersi in coda, anche per diverso tempo e in molti casi, per votare.
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