Piccoli campioni crescono. Viaggio di Altroquotidiano tra i giovani calciatori con l’allenatore dell’Atletico Morena juniores

di FABIO CAMILLACCI/ Dopo un periodo veramente nero, che ha portato l’Italia del calcio fuori dagli ultimi campionati del mondo, ora finalmente qualcosa si muove e sembra che i vivai italiani abbiano iniziato a sfornare ottimi giocatori. D’altronde, la conferma la abbiamo dalle varie Nazionali: Under 19, Under 21 e Nazionale maggiore. Non a caso, almeno sul piano del gioco, gli azzurri del c.t. Roberto Mancini sono cresciuti e si stanno affacciando molti talentini e promesse importanti. Ma perchè questa crisi? E’ solo colpa dei troppi stranieri? Per saperne di più, noi di Altroquotidiano siamo andati a intervistare un allenatore col patentino Uefa B che lavora con i giovani. Si tratta di Mauro Bacci, tecnico 51enne, dell’Atletico Morena juniores che milita nel girone D del campionato provinciale; la prima squadra invece milita in Promozione. Arriviamo al campo “Amedeo Fabrizi” di Morena, frazione alle porte di Roma e alle pendici dei Castelli mentre i ragazzi di mister Bacci stanno giocando un match di campionato davanti a una tribuna gremita di amici, parenti e tifosi. Al termine della partita, avviciniamo l’allenatore per intervistarlo.

Mister qual è il perchè di questa crisi del calcio italiano a livello giovanile? Solo colpa dei troppi stranieri?

“No, non è solo quello il motivo. La Figc sta cercando di ripartire puntando molto sui vivai, purtroppo però non è facile, ci vuole tempo. Molti club puntano sul singolo giocatore che esplode, solo per avere un bel ritorno economico, senza pensare a curarlo e seguirlo per poi portarlo ad alti livelli. Cioè si cura più il dettaglio del singolo che magari andare a collocarlo in una situazione in cui potrebbe veramente affermarsi alla grande. Ripeto, purtroppo la maggior parte delle società pensano e puntano solo a fare i soldi con i giovani giocatori di talento che poi spesso si perdono e spariscono. E poi il tatticismo esasperato di molti tecnici italiani incide negativamente. In Spagna ad esempio, alla categoria giovanissimi non li fanno giocare 11 contro 11 ma 9 contro 9, o addirittura 7 contro 7; cioè, non gli fanno occupare tutto il campo, ma, li fanno giocare, li fanno divertire. E in questo modo si ha la possibilità di lavorare di più e meglio sul giovane talento per farlo crescere in modo adeguato. Inoltre, da un po’ di tempo gli ispettori della nostra Federcalcio hanno cominciato a girare per vedere come sono organizzate le società, per vedere se sviluppano il settore giovanile o meno. Certo ci vuole tempo, perchè è anche una questione ciclica di generazioni calcistiche. E questo lo vediamo anche in altri Paesi. Basti pensare che la Germania, campione del mondo a Brasile 2014, è stata retrocessa nella serie B della Nations League. Lo stesso discorso vale per la Spagna, l’Olanda. Ora anche in queste Nazioni, come in Italia, si stanno affacciando tanti giovani calciatori di belle speranze”.

Da allenatore, quali aspetti bisogna valutare per capire se un ragazzo ha talento?

“Prima di tutto bisogna cercare di capire quali sono le sue conoscenze che lo portano poi ad esprimere le sue reali abilità. E sulle sue abilità un tecnico deve lavorarci fino a capire quali sono le potenzialità che il ragazzo può esprimere in campo e anche in che zona del rettangolo di gioco può dare il massimo; perché loro non lo sanno, magari ti dicono gioco terzino, gioco attaccante, gioco a centrocampo, poi alla fine bisogna vedere se è veramente così”.

Nel caso in cui ci si rende conto di essere davanti a un vero e proprio talento, come va gestito? E quali consigli vanno dati?

“Bisogna soprattutto trattarlo come gli altri per non mettere a disagio i suoi compagni di squadra, e poi cercare di sfruttare al meglio le sue qualità, le sue abilità”.

Questo vuol dire che al di là dei singoli è sempre importante la crescita della squadra e non del singolo calciatore?

“Ma, le due cose vanno a braccetto. Mi spiego meglio: cerchi di migliorare il ragazzo in alcuni aspetti perché anche se ha talento deve imparare a diventare un calciatore a 360 gradi perché il talento innato è importante, però non basta. Certo, bisogna lavorare bene per sviluppare quello che a lui riesce più facile”.

Parliamo un po’ dei più piccoli visto che lei ha allenato anche i bambini delle scuole calcio. E’ l’allenatore a indicargli il ruolo o sono loro a esprimere una preferenza?

“Dipende molto dalla fascia d’età del bambino. Io ho avuto la fortuna, perché secondo me è una fortuna, di lavorare due anni in una società che cura moltissimo la scuola calcio e il settore giovanile e lì ho avuto la possibilità di conoscere diversi aspetti dello sviluppo del bambino stesso. Quando sono baby-calciatori è chiaro che entrano in campo solo con la voglia di fare gol, il sogno di tutti, la finalità di questo sport; però poi l’allenatore deve essere bravo a portarlo a far capire che il calcio è un gioco collettivo, che non si gioca da soli. La finalità è far entrare la palla in porta ma chi segna lo fa sempre grazie all’aiuto dei compagni. Quindi tutti sono utili e indispensabili per raggiungere l’obiettivo finale: fare gol”.

Ce lo  ha detto in apertura di intervista confermando le nostre impressioni. Quindi è vero che oggi c’è un’esasperazione della tattica e dei moduli di gioco a danno della fantasia dei singoli calciatori?

“Si purtroppo c’è un’autentica ossessione del tatticismo da parte di molti tecnici. E secondo me questo è sbagliato. Faccio un esempio: un tecnico che allena, pulcini, esordienti e giovanissimi non può annoiare e ingabbiare i ragazzi col tatticismo esasperato. Questo non va bene perchè in tal modo castri la fantasia e il divertimento dei giovani calciatori. Un allenatore deve cercare di trasmettere i suoi pensieri calcistici, i suoi principi di calcio, ma senza stare lì a dirgli sistematicamente di mantenere la posizione, di fare certi schemi, di scalare, tagliare e altro. Perchè facendo così uccidi anche il talento. Cioè, se tu incateni i giocatori, li ingabbi, li costringi a fare sistematicamente sempre le stesse cose, i calciatori giovanissimi o giovani li stronchi perchè alla fine diventano tutti robot che non si divertono, mentre i calciatori grandi di età non ti seguono proprio, giustamente non ti danno retta. Quindi, è preferibile trasmettere cose semplici, chiare e una volta che le hanno assimilate e in campo le fanno con grande facilità, aumenti il livello di difficoltà. Mai costringerli, mai castrare estro e fantasia”. E dopo l’impegno dell’Atletico Morena juniores di mister Mauro Bacci scendono in campo giocatori ancora più piccoli e poi altri ancora. Piccoli calciatori crescono, per la speranza di un calcio italiano che dopo aver toccato il fondo, prova a rialzarsi (ha collaborato: Marco Valerio Camillacci).

 

 

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