Ma quella di Putin non è una guerra: è un genocidio. E nessuno gliene chiede neppure una motivazione e l’obiettivo finale

di ENNIO SIMEONE – Continuiamo a chiamare “guerra” ciò che sta avvenendo in Ucraina, ma in realtà continua ad essere un massacro, un genocidio, un crimine contro l’umanità, commesso dalla Russia dietro ordine del suo capo. Come si può chiamare “atto di guerra” il bombardamento odierno di un ospedale, destinato prevalentemente a reparti  pediatrici e di maternità: quello della città di Mariupol? I “nemici” contro cui sono stati puntati stamattina i mortai e i carri armati di Putin erano donne incinte o che avevano appena partorito delle creature, o bambine e bambini appena nati. Lo si può chiamare, questo, un atto di guerra, o non, piuttosto, un atto criminale, un massacro di innocenti? Un crimine di massa al quale il modo sta assistendo senza nemmeno esigere, da colui che lo ordina quotidianamente da due settimane, una qualche motivazione, una qualche spiegazione, un qualche tentativo di giustificazione, un pallido accenno di motivazione.

E viene istintivo inorridire quando si assiste da più di due settimane, per ore e ore, giorno e notte, a lunghe dirette televisive su tutti i canali, privati e pubblici, alimentate da coraggiosi collegamenti di encomiabili giornalisti (alcuni semplici ma valenti freelance), costretti a rischiosi e difficili resoconti (tra un “andiamo in pubblicità” e un “ora ho un tassativo”, per indicare uno spot in orario contrattualmente obbligato) senza che si ribadisca in maniera martellante che Putin ostinatamente si rifiuta di fornire almeno uno straccio di motivazione, di giustificazione, per spiegare perché sta compiendo questo massacro di cittadini inermi e di bambini e bambine, di donne e uomini, anziani e anziane.

Ed è scoraggiante che gli altri Stati assistano a questi massacri senza trovare gli strumenti – insistiamo –  per pretendere da Putin almeno una spiegazione (se non una giustificazione plausibile) per la violenza che sta usando ad un popolo che non gli ha recato nessun danno, non lo ha fatto oggetto di nessuno “sgarbo”. Nessuno chi chiede o gli impone di dire – esplicitamente! – almeno: “Ecco perché credo di avere il diritto di usare le bombe, i mitra, i cannoni per combattere, umiliare e annientare un popolo che vive ai confini del mio paese”.

E se questa domanda non gli viene pubblicamente rivolta incessantemente, insistentemente, davanti all’opinione pubblica di tutto il mondo, dai governanti degli altri stati la sua prepotenza non verrà nemmeno scalfita. E gli altri dittatori si sentiranno autorizzati a comportarsi come lui.

 

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