di ENNIO SIMEONE – Nel cortile mediatico italiano si è scatenato un corale moto di indignazione da domenica sera, quando Fabio Fazio ha dato l’annuncio della chiusura anticipata (di tre puntate) dell’appendice del lunedì sera del suo programma domenicale «Che tempo che fa», appendice in onda sotto il rivoluzionario titolo «Che fuori tempo che fa».
C’è chi – come lo stuolo di imitatori del neo segretario del Pd Nicola Zingaretti (da non confondere con il fratello Luca, lo straordinario «commissario Montalbano» dei gialli di Camilleri) – parla addirittura di censura politica imposta da Matteo Salvini ai vertici Rai a lui asserviti in base alla lottizzazione con il M5s.
C’è una qualche ragione per dar credito a tanta indignazione?
Per quanti sforza si facciano è difficile immaginarlo. Perché? Perché, se è vero che il capo leghista ha manifestato ostilità nei confronti di Fazio per la sua velata propensione politica verso il centrosinistra, tanto da indurlo a rifiutare i suoi reiterati inviti a farsi intervistare , fino ad attaccarlo per il copioso trattamento economico riservatogli dalla Rai, è però arduo immaginare che i vertici di Piazza Mazzini a lui fedeli abbiano pensato di appagarlo annullando tre serate di quella “appendice» del lunedì, che consiste in banali e innocue conversazioni(volgarmente catalogabili come «cazzeggi») del noto «conduttore alla camomilla» con personaggi dello spettacolo d’ogni provenienza, età e livello, disciplinatamente seduti intorno a un tavolo alla maniera degli apostoli dell’Ultima cena.
Piuttosto coloro che gridano al complotto farebbero bene ad augurarsi che la sera di lunedì 27 maggio, nelle due ore sottratte a Fazio e destinate a Bruno Vespa per informarci sui risultati delle elezioni europee, arrivino dei risultati per cui il «capitano» leghista non abbia motivo di esultare. Ma ne sono capaci?
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