Lunedì la Camera e martedì il Senato chiamati a confermare il sostegno al governo Conte. Sia il Pd sia il M5s e Leu considerano Renzi “inaffidabile”. Segnali di sostegno al governo da qualificati settori parlamentari

di ROMANO LUSI – La linea del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, condivisa dal presidente della Repubblica, Mattarella,  di affidare al Parlamento (lunedì alla Camera e martedì al Seenato) la decisione sulla sorte del suo governo dopo il lacerante strappo di Matteo Renzi consumato giovedì con le dimissioni imposte alle due ministre di Italia Viva, Bellanova e Bonino, e del sottosegretario Scalfarotto, ha riscosso il pieno consenso sia del Partito Democratico, sia del M5s, sia di Liberi e Uguali, che sono stati concordi nel respingere ogni ipotesi di ricucitura con il “rottamatore” fiorentino, bollandolo finalmente come “inaffidabile”.

E non sono valsi a far cambiare questa convinzione alcuni segnali di riconciliazione o di mediazione, già il giorno successivo alla conferenza stampa di aspra esasperata rottura di Renzi, arrivati da parlamentari di Italia Viva e in particolare da Faraone, capogruppo in Senato di “Italia viva”, benché questo potesse essere considerato come il segnale di un dissenso esistente in quella formazione verso il modo aggressivo, scomposto, pieno di livore con cui il loro segretario si è rivolto al presidente del Consiglio. Tant’è che – a chi chiedeva se vi siano possibilità di una ricomposizione dell’alleanza – tutti, a partire dal segretario del Pd, Zingaretti, e dal capo delegazione del Pd nel governo, Franceschini, hanno bollato definitivamente l’ex segretario del loro partito ed ex capo del governo “inaffidabile, escludendo ogni ipotesi di riannodare i fili di una alleanza con lui”.

Ma le condizioni favorevoli ad una riproposizione al Parlamento di un sostegno al governo Conte (magari con la rapida sostituzione dei tre fuoriusciti) si sono materializzate, già nel corso della prima giornata dopo la rottura con Renzi, con il palesarsi della  disponibilità di parlamentari estranei alla coalizione mandata in frantumi, preoccupati delle gravi ripercussioni che avrebbe sulla vita del nostro paese una lunga crisi o l’apertura di una campagna elettorale in una fase della vita del paese tormentata dall’epidemia e dalla crisi economica che essa sta provocando.

La disponibilità più significativa è quella dell’ex segretario del Partito Socialista, Nencini, il quale aveva ceduto il simbolo con cui aveva partecipato alla campagna elettorale del 2018 a Renzi per poter gli consentire di costituire il gruppo di “Italia viva” in Senato (cosa che altrimenti non sarebbe stata possibile, nel rispetto del regolamento di Palazzo Madama). Ebbene oggi Nencini ha ritirato quella autorizzazione, per cui i senatori  renziani (che erano stati eletti nel Pd e dopo la elezione ne erano usciti)  dovranno finire nell’anonimato del Gruppo misto del Senato.  Lo stesso Matteo Renzi oggi, in un’intervista, ha annunciato l’astensione nel voto sulle comunicazioni di Giuseppe Conte al Senato. Una mossa questa – secondo alcuni commentatori – sia per tenere buoni i suoi, sia per non trpvarsi isolato dal Pd. Che, però, non ha abboccato e lo ha definito “inaffidabile”, così come ha fatto il M5s. E questi giudizi non sono cambiati anche dopo che altri parlamentari di Italia viva hanno lanciato segnali di “pace”.

L’altro segnale importante per il tentativo di Giusepe Conte è quello che arriva dall’area liberal-democratica ed europeista di  Maie-Italia23. E’ un’area moderata, che fa capo a  Bruno Tabacci, il quale dice: «Se Conte si presenta alle Camere con una prospettiva interessante, c’è tutta un’area moderata che ha forte bisogno di essere rappresentata in modo adeguato. Dice c’è il centrodestra: ma Salvini e Meloni sono destra destra, antieuropeisti con una forte simpatia per Trump. Invece poi c’è tutta un’area liberal-democratica che ha bisogno di essere rappresentata».

 

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