di ENNIO SIMEONE -Nei miei 66 anni di attività giornalistica ne ho conosciuti (e in molti casi “allevati” o, più semplicemente, contribuito a far imboccare loro il mio stesso percorso) di personaggi instancabili, effervescenti, irrequieti; ma pochi hanno raggiunto l’incontenibile dinamismo di Matteo Cosenza (foto a destra), tant’è che per tre volte l’ho indicato come mio “successore” in incarichi di direzione, nei quali ha sempre aggiunto, al ruolo di giornalista, l’inventiva della mobilitazione nel sociale. Ancor più di me lui ha rifiutato e continua a rifiutare l’idea di fermarsi alla soglia anagrafica del pensionamento, in più arricchendo il suo curriculum scrivendo libri che nascono dal suo vissuto.
Gli ultimi due, sfornati a breve distanza l’uno all’altro nell’arco di un anno, sono entrambi classificabili come autobiografici, ma attenzione a non farsi ingannare da questo termine e soprattutto dal titolo del penultimo: “Casomai avessi dimenticato“. In realtà entrambi nascono dalla riscoperta di un passato professionale riemerso dal frugare curioso nella massa dei ritagli di giornali, di libri, di fotocopie, di immagini, di appunti ammucchiati negli scaffali del suo archivio personale, ma un passato che miracolosamente diventa oggi, o riacquista, una attualità alla luce di fatti nuovi e, al tempo stesso, dell’evoluzione che la sua attività giornalistica ha prodotto anche nella sua vita privata.
Ed è una constatazione che vale anche per l’ultimo volume, “Padre Pio il vero miracolo“, 111 pagine (foto a sinistra) presentate da Rogiosi Editore con una accattivante copertina, coerentemente raffigurante un collage dei ritagli del giornale (“Il Mattino“) per il quale dal 23 settembre del 1998 al 2 luglio 2004 Matteo Cosenza, da laico con grande rispetto per la religiosità altrui, realizzò dei servizi di cronaca sul “fenomeno” Padre Pio, fino alla inaugurazione della cattedrale di San Giovanni Rotondo progettata da Renzo Piano (come spiega il grande architetto in una bellissima intervista riproposta nel libro) e intitolata al frate proclamato santo dopo che per anni dalla stessa Chiesa era stato tacciato di essersi procurato con un artifizio le stigmate alle mani con le quali benediceva i fedeli (foto a destra).
Le cronache nelle quali Matteo Cosenza raccontò il “vero miracolo” dei pellegrinaggi di milioni di persone in terra di Puglia (e persino i rischi di una trasformazione “turistica” di quei pellegrinaggi) (foto in basso a sinistra), offrono una chiave di lettura di un fenomeno di fronte al quale infine la Chiesa scelse di adeguarsi e infine di proclamarlo santo. Ma il suo racconto del “vero miracolo” di Padre Pio non ha nulla a che vedere – come spiega chiaramente – con la sua scelta personale (di cui ho appreso con sorpresa solo leggendo questo libro) di aderire al desiderio di sua moglie di ri-celebrare (dopo diversi anni) le sue nozze civili in un rito religioso svoltosi con la sola presenza dei loro figli nella chiesa di Castellammare di Stabia, dove è nato e dove suo padre Saul aveva per anni diretto la sezione del Partito Comunista, la più importante forse di tutta la Campania. Ma, precisa, è un fatto che non ha nulla a che vedere con i miracoli di Padre Pio, come sottolinea nella prefazione anche monsignor GianCarlo Bregantini, e come spiega l’autore nell’ultimo capitolo del libro, intitolato “Io e la fede”. Dove ho riscoperto ancora “un altro” Matteo Cosenza, che in tanti anni di vite incrociate non avevo conosciuto e che vale la pena di essere scoperto anche da chi avrà avuto la cortesia di leggere questa segnalazione.
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