di SERGIO SIMEONE* – La sciagurata guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina ha prodotto, oltre che distruzione e morte, migliaia di profughi che stanno attraversando soprattutto la frontiera con la Polonia. Questo Paese li sta generosamente accogliendo. Se una parte di loro vorrà proseguire il viaggio in altri Paesi della comunità europea questi certamente accetteranno di farsi carico di una parte delle famiglie in fuga e si attrezzeranno per ospitarle nel migliore dei modi.
Questa gara di solidarietà tra Paesi europei verso chi è stato colpito dalla sventura di una guerra è una cosa molto bella e ci riempie il cuore di gioia. Eppure c’è qualcosa che non torna. Sì, perché la Polonia, che oggi accoglie i profughi ucraini, è quello stesso Paese che, pochi mesi fa, quando alcune migliaia di profughi provenienti da un altro teatro bellico, il Medio Oriente, hanno bussato alle sue porte, ha schierato l’esercito per impedire l’ingresso di quegli sventurati. I quali, non solo adulti ma anche bambini, sono stati costretti a trascorrere l’intero inverno in una foresta senza alcun riparo con temperature inferiori allo zero e senza nessuna assistenza, compresa quella alimentare e sanitaria. Le autorità, anzi, non si sono limitate a negare l’assistenza, ma hanno cercato in tutti i modi di impedire che altri (volontari, contadini, associazioni umanitarie) ne fornissero.
A rendere ancora più disperata la condizione di questi profughi è caduto il silenzio stampa su questa vicenda, tanto che quasi tutti (compreso il sottoscritto) pensavano che una qualche soluzione era stata trovata. Ed invece no, quei disperati sono ancora lì. Ed è l’associazione “Medici senza frontiere” a ricordarcelo con un drammatico comunicato del 6 gennaio. Ecco il testo: “Tre mesi dopo l’invio di un’équipe di emergenza siamo costretti a concludere l’intervento in Polonia a causa del continuo rifiuto delle autorità polacche di concedere l’accesso all’area confinante con la Bielorussia dove gruppi di persone sopravvivono a temperature inferiori allo zero con un disperato bisogno di assistenza medico-umanitaria”.
Alla metamorfosi dei Paesi di Visegrad corrisponde quella del sovranista nostrano Matteo Salvini, il quale, dopo essersi fatto vanto, da ministro dell’interno, di aver chiuso i porti all’ingresso di navi che portavano disperati provenienti da paesi devastati da guerre e carestie, anche se superstiti di naufragi, anche se tra di loro c’erano donne incinte e neonati, ed ancora oggi attacca la ministra Lamorgese perché troppo tollerante con gli arrivi dei migranti, è diventato improvvisamente un ultras dell’accoglienza: è nostro dovere spalancare le porte del nostro Paese a tutti quelli che fuggono dalla Ucraina!
Ma che cosa hanno di diverso i profughi ucraini ed i profughi che arrivano dall’Africa o dal medio oriente? Probabilmente il colore della pelle e la religione. Le vere ragioni del rifiuto dei migranti da parte dei Paesi di Visegrad e dei sovranisti nostrani sono, in tutta evidenza, razzismo ed islamofobia.
Occorre allora che qualcuno, soprattutto a sinistra, colga l’occasione della sacrosanta tutela dei profughi ucraini per riproporre il tema della regolamentazione dell’accoglienza dei profughi in Europa (a prescindere dalla provenienza e dalla razza e dalla religione a cui appartengono). Compresa la revisione del trattato di Dublino, che è la foglia di fico dietro la quale si sono nascosti finora egoismi nazionali e razzismo.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente dl Sindacato Scuola della Cgil
Commenta per primo