C’è ancora una forte renitenza – tra i cosiddetti opinionisti che vengono invitati dalle varie tv a frequentare i loro talk show per riempire gli intervalli tra uno spot pubblicitario e l’altro – a dire chi ha deciso e orchestrato la crisi di governo. Eppure ha un nome: Mario e un cognome Draghi. Tant’è che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando Draghi gli ha presentato la prima volta le dimissioni da presidente del Consiglio, le ha respinte: non per una manifestazione di stima e per un rituale atto di cortesia, ma per il semplice motivo che non era stato sfiduciato da nessuna delle forze politiche presenti in parlamento. Infatti è falso che lo abbiano fatto coloro che vengono additati come i “colpevoli” della crisi: Giuseppe Conte e i Cinquestelle. I quali, tre giorni dopo aver confermato alla Camera la fiducia al governo Draghi, quando gli stessi decreti sono passati all’esame del Senato (dove il voto era legato automaticamente alla fiducia o alla sfiducia) sono usciti dall’aula proprio per evitare che il no ai decreti, ovviamente legittimo, potesse trasformarsi in un voto di sfiducia. A quel punto, avendo Draghi riconfermato le dimissioni proprie e del governo, Mattarella non ha potuto, nel rispetto delle norme parlamentari, costringerlo a ritirarle e ha dovuto fissare la data delle elezioni anticipate (al 25 settembre) con automatico scioglimento delle Camere.
Se, come sostengono alcuni, Draghi avesse voluto – con la minaccia delle dimissioni – solo compiere una mossa per costringere tutte le forze politiche ad ubbidirgli senza creargli problemi non poteva e non doveva essere questo il modo, visto che ha svolto finora il suo ruolo facendo trovare i ministri di fronte al fatto compiuto, addirittura facendo loro approvare delibere che non avevano avuto neppure il tempo di leggerle. Dunque all’origine delle sue dimissioni ci sono altre motivazioni. E poiché i segnali di questo brusco cambiamento di condotta sono coincisi con la mancata elezione alla carica di Presidente della Repubblica (motivata da tutti con la irrinunciabile necessità per l’Italia che lui rimanga alla guida del governo), prende sempre più corpo il sospetto che Draghi non vorrebbe trovarsi di nuovo “incastrato” a Palazzo Chigi nel momento in cui si rendesse vacante il Quirinale per una scelta del riconfermato titolare attuale analoga a quella compiuta sette anni fa da Giorgio Napolitano dopo essere stato rieletto alla carica Presidente della Repubblica.
E magari c’è chi azzarda l’ipotesi che una mano a questa manovra, che passa per l’operazione di scaricarne la causa sui Cinquestelle (e sull’appena nominato presidente Giuseppe Conte), l’abbia data a Draghi proprio l’ex “bibitaro” Di Maio, con la sua fuoriuscita (e scandalosa motivazione, sfacciatamente falsa) dal Movimento Cinquestelle in cordata ben organizzata di quella sessantina di parlamentari pentastellati costretti a ripresentarsi alle elezioni anticipate con minori probabilità di rielezione in base alla legge che prevede la forte riduzione del numero di deputati e senatori che comporranno le Camere.
Naturalmente la prima vittima di questo “autogol” di Draghi finirebbe per essere Enrico Letta, il cui “campo largo” con il M5s aveva consentito – alle recenti elezioni amministrative – di eleggere sindaci come quelli di Napoli e di Verona. Ora si ritroverà in compagnia di Matteo Renzi. Che gli ripeterà (come quando lo fece cacciare da presidente del Consiglio): “Stai sereno!“.
PS– Un giorno dopo la pubblicazione di questa nota le agenzie di stampa informano che Letta ha dichiarato che è diventata improponibile ogni forma di alleanza con il M5s capeggiata da Giuseppe Conte. E’ probabile che anche stavolta Matteo Renzi gli manderà lo stesso messaggio di quando lo silurò, ma accompagnato dai complimenti: Enrico, sei un genio!
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