L’arroganza di Renzi fa fallire l’«esplorazione» di Fico. E Mattarella sceglie di risolvere la crisi di governo affidandosi a Mario Draghi, convocato per oggi al Quirinale

di ROMANO LUSI – L’indecenza del mercanteggiamento sulle “poltrone” (quelle che diceva di voler lasciare) orchestrato da Renzi negli incontri per la soluzione della crisi di governo ha fatto fallire – come del resto avevamo previsto – la scombinata “esplorazione” del presidente della Camera, Roberto Fico, nel tentativo di ricucire le lacerazioni provocate da Matteo Renzi durante i tre giorni di affannose trattative svoltesi alla Camera. E a questo punto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non è rimasta altra scelta che tentare di avviare la formazione di un governo “non politico” affidato ad una personalità come Mario Draghi, reduce, un anno fa, dalla direzione della Banca Europea.

E stamattina, alle ore 12,  Draghi sarà a colloquio con Mattarella al Quirinale per ricevere l’incarico di formare un governo in grado di affrontare gli enormi problemi che l’Italia dovrà affrontare e che la crisi provocata da Renzi rischiava di rendere irrisolvibili con lo sfracello che aveva creato e con le pretese che aveva avanzato durante la tre giorni di mediazione di Fico.

L’alternativa – ha detto Mattarella – sarebbe stata solo la convocazione di elezioni anticipate, che avrebbero lasciato il Paese per un lungo periodo nell’incertezza o nella paralisi, con la crisi in atto sia sul piano sanitario, sia sul piano economico. E invece  la crisi sanitaria ed economica “richiede un governo nella pienezza delle sue funzioni e non un governo con l’attività ridotta al minimo“. Nel 2013  – ha fatto notare – dallo scioglimento delle Camere trascorsero 4 mesi per la formazione di un governo. E nel 2018 5 mesi. Ma, per di più, oggi andare alle urne significherebbe di tenere il nostro Paese con un governo senza pienezza delle funzioni in mesi cruciali”, a parte tutto il tempo e le energie che richiederebbero le operazioni di preparazione al voto e il tempo impiegato nella campagna elettorale.  Da qui l’orientamento di un governo tecnico, affidato a una personalità di grande prestigio ed esperienza: Mario Draghi.

CHI E’ MARIO DRAGHI

73 anni, romano, laurea alla Sapienza e master al Mit di Boston, Mario Draghi è stato direttore generale del Tesoro – con il ministro Carlo Azeglio Ciampi, il primo tra i Ciampi boys (dove ha gestito la stagione delle privatizzazioni). Una breve parentesi a Goldman Sachs e poi ha ricoperto il ruolo di governatore della Banca d’Italia, una carica che l’ha catapultato negli snodi internazionali del Financial Stability Board e nella Bce come membro del consiglio.

Ma per tutti Mario Draghi è l’uomo che ha salvato l’Europa, quando nel 2011 ha visto coagularsi sulla sua candidatura anche il consenso dei Paesi più attenti ai conti pubblici, Germania compresa. Il suo debutto è stato fulminante con il ‘whetever it takes’, tre parole in inglese (“tutto ciò che serve”), in grado di fermare i mercati e di fare da scudo al Paesi in tensione per l’andamento dei tassi sui titoli di Stato. Parole alle quali sono seguiti fatti, in un’accorta gestione di parole e decisioni, culminate nel quantitative easing: l’impegno della Bce – e delle banche centrali dei diversi Paesi europei – a sostenere i loro titoli sul mercato. Di fatto ha cambiato la ‘cassetta degli attrezzi’ della Bce senza snaturarne il ruolo.

“Il futuro? Chiedete a mia moglie”, ha detto lasciando la Bce alla guida di Christine Lagarde. Ma già da prima la politica lo candidava nei ruoli più importanti. Impossibile negare che, anche prima dell’attuale crisi politica, in molti hanno pensato a lui come il possibile successore di Mattarella alla Presidenza della Repubblica, visto che l’attuale inquilino del Colle ha fatto sapere di non pensare ad un nuovo settennato.

Defilatissimo rispetto alla politica, Supermario ha la capacità di mantenere grande equilibrio, senza nascondere la sua opinione. “Ci troviamo di fronte a una guerra contro il coronavirus e dobbiamo muoverci di conseguenza”, ha detto rompendo il silenzio dopo l’uscita dalla Bce con un intervento pubblicato lo scorso marzo sul Financial Times. “Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”, ha quindi aggiunto, con un monito che appare in piena sintonia con l’urgenza e i timori espressi in serata da Mattarella.

Quest’estate il suo intervento per focalizzare l’attenzione sui giovani, chiedendo ai Paesi di intervenire per garantire liquidità alle imprese e sostenere i redditi, anche a discapito dell’aumento del debito.

L’ultimo messaggio, a dicembre, sulla sfida che l’Italia deve ora affrontare, quella del Recovery Fund. “La sostenibilità del debito pubblico in un certo Paese sarà giudicata sulla base della crescita e quindi anche di come verranno spese le risorse di Next Generation Eu“, una frase accompagnata da un monito ai Paesi sull’utilizzo delle risorse: “Se saranno sprecate il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita“. (Ansa)

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