L’ALTRO DEGLI ALTRI/ Sul caso Minzolini un corto circuito istituzionale

Con uno strappo alle regole e alla logica (lasciamo perdere la politica!) il Senato ha respinto a maggioranza (come riferiamo in altro articolo) l’automatica decadenza di Augusto Minzolini da senatore (di Forza

Augusto Minzolini

Italia) dopo la condanna definitiva per peculato, reato commesso usando “impropriamente” la carta di credito assegnatagli dalla Rai quando era direttore del Tg1. Sull’argomento si sono divise le forze politiche e le opinioni degli italiani e si è diviso anche il gruppo del Pd, tant’è che 19 suoi senatori hanno votato pro Minzolini, 14 si sono astenuti, e una ventina non hanno partecipato alla votazione. In aula all’esito della votazione è esploso addirittura un applauso. 

Alla sconcertante vicenda Il Fatto quotidiano ha dedicato, oltre ad una serie di articoli, una intervista di Silvia Truzzi (coautrice con Marco Travaglio del volume “Perché No” sul referendum istituzionale) all’avvocato Gianluigi Pellegrino, esperto in diritto pubblico e amministrativo. Eccone alcuni stralci.

«Cos’è accaduto ieri a Palazzo Madama? In due parole: il Senato della Repubblica che in veste di legislatore ha approvato la legge Severino cinque anni fa (non cinquanta), ha votato contro la sua applicazione. Contro se stesso, contro lo Stato: un inaudito cortocircuito istituzionale. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Gianluigi Pellegrino, specialista di diritto pubblico e amministrativo.

Avvocato, il caso in questione rientrava nei parametri della legge Severino?

La Severino prevede la decadenza da cariche elettive di fronte a sentenze definitive e a condanne rilevanti. Ai parlamentari si applica lo stesso trattamento dei consiglieri comunali. Anzi, mentre ai consiglieri comunali la sospensione si applica anche dopo la sentenza di primo grado, i parlamentari incorrono nella legge dopo la sentenza definitiva. È stato il caso di Berlusconi, era il caso di Minzolini.

La decisione si può impugnare?

(ride) Il rimedio – senta bene – dovrebbe essere attivato dai vertici del Parlamento. I presidenti di Camera e Senato dovrebbero proporre alle Camere di sollevare contro il Senato il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale per la disapplicazione della norma. Il Parlamento legislatore dovrebbe agire contro il Parlamento delle deroghe. Una cosa grottesca, kafkiana. Sono sbalordito.

Ai suoi senatori il Pd ha lasciato libertà di coscienza.

Ma qual è la crisi di coscienza che possono aver avuto? Al massimo una crisi d’incoscienza. Ho sentito che qualcuno si è messo a discutere del merito del reato per cui Minzolini è stato condannato: mica possono impugnare la sentenza! La Severino non commina sanzioni penali. Possono dire che Minzolini è un perseguitato politico…

…infatti si parla di “quarto grado di giudizio”: in realtà qui la questione era verificare se la sentenza che condannava il senatore rendeva applicabile la Severino.

Il merito non conta, ribadisco. Qui il tema erano il titolo del reato e l’entità della condanna. Una cosa meno vergognosa sarebbe stata chiedere alla Giunta per le immunità di sollevare una questione di costituzionalità. Disapplicare la legge per il Parlamento è un suicidio, un atto intrinsecamente eversivo. Se il Parlamento voleva individuare un modo più grottesco per rappresentare ai cittadini la regola del “chi fa le leggi non le vuole rispettare”, ecco c’è riuscito perfettamente. Una macchietta.

Minzolini ha detto di volersi dimettere. Anche se dovesse farlo, è difficile pensare che i colleghi voteranno a favore delle sue dimissioni.

Campa cavallo… Non so se questo avverrà, certamente avrà tempi lunghi. Già che lo dica significa che lui è il primo a rendersi conto che, in quanto interdetto dai pubblici uffici, non può fare il senatore. Ciò nonostante abbiamo fatto fare al Parlamento una figuraccia mondiale. Chi ha voluto che si pagasse questo scalpo politico ha messo – incoscientemente – il Parlamento italiano alla berlina.

Tipo il voto che ha certificato che Ruby fosse nipote di Mubarack…

Lì stavamo alla bugia di merito, qui siamo al cortocircuito istituzionale.

Brunetta ha detto che dopo il voto di ieri, la Severino è ormai rottamata. È così?

Formalmente no. Ma c’è un chiaro atto eversivo del legislatore contro le sue leggi. Senza che in sede legislativa si abbia il coraggio di modificare la norma. La legge Severino è stata ipercriticata da tanti, io l’ho difesa in Corte costituzionale due volte. E la Consulta ha stabilito che la norma è pacificamente costituzionale».

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