LA POESIA DEL “10”/ Viaggio nel passato con lo storico dello sport Raffaele Ciccarelli sul fascino rappresentato dai numeri sulle maglie dei calciatori. Da Pelè a Messi passando per Maradona


di RAFFAELE CICCARELLI*/
  Il mondo in cui ci muoviamo quotidianamente è tutto basato sui numeri, senza che ce ne rendiamo conto. Nello sport i numeri assumono un ruolo importante, a volte determinante, soprattutto se legati a qualche campione e alle sue gesta. Nel calcio, prima della liberalizzazione moderna, erano rigidamente dal n. 1 al n. 11, e legati al ruolo, come tali ancor di più si prestavano a identificarsi con il campione che li indossava. Dall’esordio della numerazione dietro le maglie dei calciatori nel settembre del 1939, si creò una identificazione indissolubile giocatore-numero-ruolo.

Il fascino dei numeri a seconda dei ruoli in campo. Chiaramente alcuni numeri crearono una vera e propria fascinazione: tutti avrebbero voluto indossare la nove del centravanti o la sette dell’ala destra, ma una più di ogni altra destava un fascino particolare: la numero dieci. Forse anche per la sua rappresentatività: uno e zero, inizio e fine, o perché traslando in lettere si può leggere come “io”, segno di egoismo ma anche di assunzione di responsabilità alla leadership.

La maglia numero 10. Questa è stata sempre vista come la maglia del fantasista, del giocatore in più, del genio: non a caso è stata la maglia di Pelè, di Diego Maradona, attualmente di Leo Messi. Gente che non ha certo bisogno di presentazioni. Una maglia, e un numero, che ha dato ampio spazio anche alle discussioni che ne sono fiorite intorno: chi la indossa deve essere considerato un centrocampista o un attaccante? Un dilemma non da poco, considerando le specializzazioni tattiche odierne.

La maglia e la classe nel dna. Innanzitutto un pensiero: al di là della numerazione moderna, chi lo indossa veramente è un giocatore fuori dal comune, quello che è il vero simbolo della squadra, per voler usare una terminologia moderna, il leader tecnico. Si può discutere sulla vocazione, se più attaccante o più centrocampista, ma esso resta soprattutto il genio, l’uomo dell’ultima giocata, quello cui affidarsi per risolvere situazioni intricate, sempre con il colpo in canna. Magari a volte sembrerà abulico, scomparirà dal campo per poi riapparire e depositare con una magia il pallone in porta.

I tanti esempi con le relative differenze. Un artista, e la storia ne ha posti tanti sul campo: Gianni Rivera, Michel Platini, Zinedine Zidane, Roberto Baggio, Andrea Pirlo, Rui Costa, Dejan Savicevic, Neymar, George Best, Gigi Meroni, Roberto Mancini, Alessandro Del Piero, Francesco Totti, oltre ai già citati, ma tanti ne dimentico. Una cosa possiamo evincere dal piccolo elenco sopra: ci sono stati quelli più attaccanti (Pelè, Messi, Best, Rivera, Del Piero, Totti); quelli più centrocampisti (Platini, Pirlo, Rui Costa); quelli fantasisti per antonomasia (Maradona, Savicevic, Baggio, Omar Sivori, Mancini).

I “10” mancati. Alla fine, come sempre, conta la fantasia di chi osserva e si lascia incantare da questi giocatori sicuramente “atipici”, diversi, fuori da quegli schemi tattici in cui nessun allenatore del mondo può rinchiuderli. Personalmente, alla memoria mi sovvengono alcuni giocatori del passato che hanno avuto tutte le stimmate per incarnare quel ruolo, anche se poi in campo non indossavano la dieci. Su tutti, Giampiero Boniperti, che cominciò attaccante per poi arretrare il suo baricentro di gioco fin davanti alla difesa.

Altri esempi di “10” mancati. Garrincha, la funambolica ala brasiliana dalla finta irresistibile, protagonista assoluto al mondiale del Cile nel 1962; Franco Causio, spesso imprendibile negli anni juventini; il “poeta del gol”, Claudio Sala, che “quando toccava il pallone sembrava suonasse melodie”; il più grande di tutti, almeno per il sottoscritto, Bruno Conti, l’imprendibile folletto azzurro (e giallo rosso della Roma) che ha contribuito a regalarci l’imperitura gioia della vittoria ai mondiali di Spagna nel 1982. Campioni che sceglievano loro dove giocare, sempre regalando magie. Geni del calcio che nemmeno un numero di maglia riesce a imprigionare, un numero senza maglia, impresso nell’anima e non nel tessuto di chi lo porta.

*Raffaele Ciccarelli, Storico dello sport

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