La necessità di dire basta all’ipocrisia sui migranti

di STEFANO CLERICI – L’editoriale – quasi uno sfogo appassionato e in certi passi perfino brutale – del nostro direttore Ennio Simeone sul doloroso tema dell’immigrazione, si può condividere o meno (personalmente, ne vedo luci e ombre e non certo per innato “cerchiobottismo”), ma ha il merito di voler far piazza pulita della tanta ipocrisia che trabocca su questo devastante problema mondiale, tanto da parte dei “buoni” quanto da parte dei “cattivi”.

Il primo errore – che quasi tutti noi facciamo – è quello di confondere morale e politica affrontando l’argomento in modo insieme laico e fideistico, razionale e viscerale, ponderato e preconcetto. Forse sarebbe il caso di sforzarsi a tenere ben distinti i due piani, senza lasciarsi infettare dal virus, spesso micidiale, dei “senza se e senza ma”.

Se a qualcuno non si spezza il cuore nel vedere tanti poveri disgraziati lasciati morire in mare o non prova orrore nell’ascoltare i racconti dei sopravvissuti a un naufragio o alla traversata nel deserto o alla detenzione nei lager libici, o, peggio ancora, se qualcuno lucra su questo traffico di esseri umani, ebbene questo qualcuno è una bestia: nel senso che non appartiene alla razza umana. Ma, al tempo stesso, l’uomo si distingue dalla bestia anche perché è dotato di raziocinio e quindi non c’è uomo degno di questo nome che possa solo pensare che milioni, anzi miliardi di persone che oggi rischiano di morire per fame o per guerra nel sud del mondo possano trasferirsi di colpo o a cicliche ondate non solo in Italia, ma in tutti gli altri paesi d’Europa e dell’Occidente, magari non più ricco come una volta ma pur sempre un paradiso rispetto alle martoriate zone da cui fuggono questi schiavi del terzo millennio.

Il giudizio morale è una cosa, la politica sull’immigrazione un’altra. Se questo governo volesse davvero impedire l’arrivo di altri migranti, allora dovrebbe avere il coraggio di fronte al consesso delle nazioni civili di accettare il suggerimento di Giorgia Meloni e spedire le navi militari italiane davanti alle coste libiche a far da barriera, anche con le armi se necessario, alla minacciata “invasione”. Il giudizio morale per quel che mi riguarda sarebbe feroce ma politicamente comprensibile. Ma se non si ha il coraggio di affrontare il giudizio di Dio e degli uomini, che senso politico ha fare i “cattivi” a metà? Che senso politico ha limitarsi a mettere in mezzo alla strada decine di uomini, donne e bambini e ingrossare le file dei clandestini con un decreto sicurezza che è il contrario della sicurezza? Che senso politico ha promettere l’immediata cacciata di 600.000 immigrati per poi ammettere che per eseguire quei rimpatri ci vorranno almeno ottant’anni (più o meno quelli necessari a Salvini e ai suoi eredi per restituire il malloppo dovuto dalla Lega alle casse italiane)?

PS: ai fu compagni del Pd va sempre ricordato che, se non avessero dato retta all’Attila fiorentino, oggi Salvini continuerebbe certo a fare il bullo, ma dai banchi dell’opposizione. Senza far danni.

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