di RAFFAELE CICCARELLI*/ Era un miscuglio di diverse singolarità Pino Wilson, scomparso il 6 marzo, libero di ruolo, capitano per antonomasia della sua squadra di sempre, la Lazio. Innanzitutto le sue origini: Wilson, nato in Inghilterra, era figlio di un militare inglese e di una ragazza napoletana, e già questo può rappresentare una particolarità, la flemma britannica unita alla esuberanza italiana, anzi partenopea. I suoi geni seppero fare sintesi di queste caratteristiche, trasmettendogli la passione per il calcio che egli tramutò nella interpretazione del libero classico, all’epoca ruolo in auge e oggi obnubilato e appiattito dalla disposizione a zona della linea difensiva.
Le caratteristiche di Pino Wilson. Le origini anglo partenopee ne forgiarono anche il carattere, che prese le caratteristiche flemmatiche da parte del padre che esplicitò totalmente in campo, faro in quello spogliatoio di folli che era la Lazio di quegli anni, avvalendosi della conoscenza di quelle esplosività umorali che gli derivavano da parte di madre. I primi passi calcistici a Napoli li mosse nella Cral Cirio, una di quelle realtà dopolavoristiche che erano una vera fucina di talenti sconosciuti, passando poi all’Internapoli, seconda squadra del capoluogo campano e culla del talento di un altro campione, Giorgione Chinaglia.
L’arrivo di Wilson sulla sponda biancoceleste del Tevere. Con quello che sarebbe diventato Long John, Wilson passò poi alla Lazio, quella che sarebbe diventata la sua casa sportiva. In biancazzurro arrivò nel 1969 e vi rimase ininterrottamente fino al 1980, tranne una brevissima parentesi all’inizio del 1978, quando andò a giocare sedici partite nella Nasl, nei New York Cosmos dell’allora nascente soccer statunitense. Delle Aquile divenne la guida in campo, facendo la spola tra il campionato cadetto e la massima serie, il capolavoro fu fatto nella stagione 1973/1974.
Lo scudetto. La squadra, allestita dall’italo americano Umberto Lenzini, sotto la guida del padre putativo, più che allenatore, Tommaso Maestrelli, già la stagione precedente ebbe la capacità, da neopromossa, di contendere lo scudetto a Juventus e Milan, poi appannaggio dei bianconeri, ma in quella successiva fu protagonista fino ad arrivare alla conquista del primo tricolore biancoceleste.
Il carisma di Wilson e il triste viale del tramonto. Se Maestrelli era più spesso “domatore” che allenatore di quelle personalità eccessive che rispondevano al nome di Chinaglia, Felice Pulici, Renzo Garlaschelli, Vincenzo D’Amico, Luciano Re Cecconi, Mario Frustalupi, in campo era Wilson la guida, il capitano che era seguito da tutti, che nel rettangolo verde dimenticavano le mattane diventando un unicum teso alla vittoria. Subito venne, però l’oblio, nota è la parabola triste e drammatica di Re Cecconi e Chinaglia, qualcuno degli altri biancocelesti, tra cui lo stesso Wilson fu coinvolto nel pasticcio del primo Totonero, nel 1980, ritirandosi anche dopo l’amnistia conseguente alla vittoria mondiale del 1982. Da vero, indimenticato, vittorioso capitano di una squadra di matti.
*Storico dello sport
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