LA MORTE DI ASTORI/ Tanti precedenti, da Taccola a Morosini passando per Curi: una lista troppo lunga di calciatori stroncati nel pieno della carriera

di RAFFAELE CICCARELLI*/ Si può solo restare allibiti e senza parole, sia scritte sia parlate, quando la vita arriva, improvvisa e traditrice, a presentare un conto non richiesto, quasi beffardo, a farci capire che le nostre sono solo illusioni nel momento di pensare di poterla gestire. Noi siamo padroni del nulla. Sono le prime e uniche cose che mi vengono in mente di fronte alla tastiera, alla pagina bianca del computer che attende di essere riempita da parole che né il cuore, né la mente riescono ad ispirare, quasi obnubilate dalla notizia tragica della morte, improvvisa, inspiegabile, di Davide Astori, il capitano della Fiorentina, per un malore. È solo il silenzio che può accompagnare la tragedia di un giovane che ci lascia, senza un perché. Un giovane, appunto, non uno sportivo o un atleta nel fiore delle sue forze: un giovane, perché di questo si tratta, che poi colpisca particolarmente il nostro mondo è un caso che acuisce lo sconcerto, proprio perché si presume che un atleta sia quasi invulnerabile e invincibile. Una illusione, perché, come scritto, questo tipo di eventi ci ribadiscono soltanto che noi siamo padroni del nulla.

I drammatici precedenti. Purtroppo quello di Astori, trentunenne della provincia di Bergamo, che dalle giovanili del Milan si è affermato nel Cagliari prima di passare alla Fiorentina attraverso la Roma, assurgendo anche alla Nazionale con quattordici presenze, non è l’unico caso che incupisce il mondo del calcio. Tralasciando quelli morti in tragici incidenti, fatalità che pure hanno un senso di fronte all’inesplicabilità di questo accaduto, non possiamo non ricordare quanto capitato solo sei anni fa, a Pier Mario Morosini, guarda caso un altro bergamasco, accasciatosi sul campo e mai più rialzatosi durante il match del Pescara con il Livorno. O alle precedenti tragedie di Giuliano Taccola, Renato Curi, Antonio Puerta, di Marc-Vivien Foè, di Miklos Feher, fino ai più recenti Patrick Ekeng e Bernardo Ribeiro, in un elenco in cui già “uno” sarebbe un numero troppo grande.

Padroni di nulla. È una nebbia oscura, quasi nera, quella che accompagna le dita a scrivere queste parole che mai avrei voluto scrivere e mai più vorrei farlo, che ci fanno comprendere l’effimero della nostra esistenza, dell’inutilità dei nostri affanni, dell’accapigliarsi per il risultato di una partita o per un voto che poi dovrebbe portare al dominio, ma dominio di cosa? Supremazia di cosa? Io vedo solo la necessità di respirare ogni alito di vita gustandone fino in fondo l’essenza, senza doversi perdere nei meandri di un vivere infelice perché in perenne contrasto con gli altri, con il mondo, con se stessi. Bisogna scegliere gli obiettivi e viverli così come vengono, evitando gli arrivismi, le arroganze, le voglie di primeggiare. Perché queste sono solo illusioni della vita. Perché noi siamo padroni di nulla.

*Storico dello sport

 

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