LA FAVOLA DI MAURIZIO SARRI/ Dalla seconda categoria allo scudetto con la Juventus, passando per l’Europa League vinta col Chelsea e il bel gioco espresso alla guida del Napoli. Ma quello con Madama resta un matrimonio difficile per la storia e il dna dei bianconeri. L’analisi dello storico dello sport

di RAFFAELE CICCARELLI*/ A volte, nel calcio come nella vita, capita che gli opposti si incontrino dando vita a storie a lieto fine, anche se dal cammino accidentato. Nel connubio tra Maurizio Sarri e la Juventus, pur avendo festeggiato lo scudetto, obiettivo apparentemente scontato, non sembra essere riuscito l’intento della dirigenza bianconera, quello di innestare nei cromosomi vincenti della Juventus l’idea di poter vincere attraverso il bel gioco. Sono vere due realtà, a nostro avviso: questa è una operazione già riuscita in altre squadre, e il capostipite di questo è Pep Guardiola, ma anche Jurgen Klopp per altre vie, e la Juventus anche nel più recente passato ha mostrato sprazzi di manovra brillante.

Sprazzi, appunto. Come quelli visti anche in questa prima stagione del tecnico napoletan-toscano, perché il bel gioco non potrà mai essere il fine principe di questa squadra, che al massimo possiamo definire camaleontica tra le due ideologie, riuscendo ad adattarsi ondivaga tra le due teorie, ma sempre con il risultato come fine ultimo. Ciò che ammanta di romanticismo l’avventura tra Sarri e la Juventus non è questo tentativo di trapianto d’anima, quanto piuttosto la parabola che lo ha portato a vincere il suo primo scudetto a sessantuno anni, e partendo da lontano, molto lontano.

La favola di Sarri. Giusto trent’anni fa, dopo una modesta carriera da calciatore dilettante, con un solido lavoro da impiegato bancario, egli fa il suo ingresso in uno spogliatoio di una squadra di calcio da allenatore, in seconda categoria. È qui che inizia la sua parabola, che è in tutto simile a quella di qualsiasi allenatore dilettante che inizia dal basso, salendo piano, cumulando esperienze. Queste dopo dieci anni lo portano a poter festeggiare le prime vittorie, quella di un campionato di Eccellenza e quella nella Coppa Italia di Serie D.

Il sarrismo. Poco, per far dire di trovarci di fronte alla carriera di un vincente o predestinato, ma in questi anni Sarri, oltre all’esperienza, matura anche una precisa idea di gioco, che tende a sovvertire i canoni: difesa in linea, gioco manovrato fatto di movimento e triangolazioni continue, riattacco immediato in avanti invece del riposizionamento quando si perde il possesso della palla. È con queste idee che inizia la scalata nel professionismo, ma ancora siamo ad una carriera che, per quanto stia diventando interessante, sembra lontana da avere sviluppi ulteriori.

Il grande palcoscenico. Invece la grande ribalta, la Serie B con l’Empoli e poi la successiva chiamata a Napoli, mettono in risalto questa sua idea di gioco che, soprattutto con la maglia dei partenopei, lo porta a competere con la Juventus e a sfiorare lo scudetto. È qui che i tifosi napoletani lo eleggono a “Comandante” per combattere lo strapotere bianconero, è da qui che Sarri va via, per passare al Chelsea. Ormai è proiettato nel grande calcio, a Londra vincerà il suo primo trofeo importante, l’Europa League, ma nel suo animo lo sa, bisogna vincere un campionato.

La grande opportunità. l’occasione la dà la chiamata della Juventus, vincente da otto stagioni consecutive, incarnazione del potere da lui avversato e ora abbracciato, con grande disdoro dei tifosi del Napoli, che ripudiano l’ex figliol prodigo come a suo tempo fecero con un altro reprobo, Gonzalo Higuain. Il resto è storia nota, l’”allenatore del popolo” alla corte di Madama corona il suo sogno di vincere lo scudetto, e ora rappresenta egli stesso un sogno: quello di ogni allenatore, di partire da lontano, per arrivare alla gloria.

*Storico dello Sport

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