Il silenzio che vale più oro del taglio dei parlamentari

di SERGIO SIMEONE* – Sappiamo che uno dei cavalli di battaglia dei Cinquestelle è l’abbattimento dei costi della politica. Sappiamo anche che questa battaglia si è concretizzata ultimamente nel taglio del numero dei parlamentari,  realizzato addirittura con legge costituzionale, la cui approvazione è stata imposta agli alleati come condicio sine qua non per il varo del governo Conte bis.

La sua approvazione definitiva  non è  ancora completa (potrebbe ancora essere sottoposta a referendum confermativo) ma è da considerare egualmente certa  perché nessuno avrà il coraggio di opporsi ad un provvedimento che “restituisce al popolo una valanga di soldi sottratta alla rapace casta”. Perciò il movimento ha celebrato questa sua vittoria, come è suo costume, in maniera molto teatrale in piazza Montecitorio.

Ma in realtà quanto si risparmia davvero  con questo taglio? La risposta la dà l’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Sergio Cottarelli: 82 milioni di euro all’anno. Questa cifra viene però ridimensionata dall’economista Edoardo Frattola , il quale giustamente fa rilevare che da questa cifra va detratto l’importo di imposte e contributi che i parlamentari versano allo Stato, per cui gli 82 milioni diventano 57.

Per capire che cosa significa questa cifra occorre ricordare che un punto di spread vale circa 32 milioni di euro. I 56 milioni risparmiati corrispondono pertanto a meno di due punti di spread. Ma allora, se Di Maio vuole davvero abbattere i costi della politica, anziché imbarcarsi in una riforma costituzionale, non farebbe meglio ad impegnarsi a non attaccare un giorno sì e l’altro pure il proprio Presidente del Consiglio, che pure ha così tenacemente voluto, mettendo a rischio la stabilità del governo e generando sfiducia nei mercati finanziari? Ricordiamo a titolo di esempio, che quando Di Maio il 29 agosto con una sua dichiarazione mise in forse la nascita del Conte bis in un solo giorno lo spread aumentò di ben 10 punti.

Se poi Di Maio invitasse ad un vertice l’altro destabilizzatore doc Matteo Renzi ed insieme decidessero di osservare un cospicuo periodo di silenzio stampa, i mercati finanziari probabilmente comincerebbero a guardare l’economia del nostro Paese con occhio molto più benevolo e forse anche il debito pubblico comincerebbe finalmente a calare.

*Sergio Simeone, docente di storia e filosofia, è stato dirigente del sindacato Scuola della Cgil

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