IL PASSATO E IL FUTURO/ A Roma il teatro di Milo Rau

di FEDERICO BETTA – In scena al Teatro Argentina di Roma per la 37a edizione del Romaeuropa Festival,
Grief and Beauty dell’acclamato regista svizzero Milo Rau. Secondo capitolo della Trilogy of Private Life,
presentato in anteprima a Gent, in Belgio, dove Rau è direttore del teatro NTGent, lo spettacolo ci
porta in un interno familiare che apre le porte della sua intimità sulla scelta consapevole di morire.
L’eutanasia, legale in Belgio, è il centro di uno scambio di memorie
private sulla vita personale dei quattro attori in scena,
Arne De Tremerie, Anne Deylgat, Princess Isatu Hassan Bangura
 e Gustaaf Smans. Le immagini filmate della scelta consapevole di Johanna,
che ha deciso di morire circondata da famigliari e amici, mentre
viene ripresa da una telecamera, irrompono nel finale.
Ma durante tutto lo spettacolo,la vita di Johanna rimane sospesa,
come uno sfondo sempre presente, riecheggiando con dolore e bellezza
nelle storie raccontate degli attori e dalle attrici in scena,
ma anche e soprattutto nelle emozioni del pubblico.
La morte, che in scena si raddoppia nella dipartita volontaria di uno degli attori, appare così come
l’atto vero per eccellenza, l’unica realtà pura della vita. Una vita che il regista lascia dipanare nella
narrazione delle esperienze reali degli interpreti, del loro approccio al teatro, della loro carriera
d’artisti e dei loro rapporti familiari. Una narrazione che si rivolge al pubblico come fosse una
confessione e che anch’essa viene raddoppiata dallo sguardo di una telecamera che rimanda le
immagini degli attori nello stesso frame che accoglierà la sorte di Johanna.
Milo Rau ci ha abituato alle esperienze estreme con i suoi lavori precedenti.
Con L’ultima ora di Elena e Nicolae Ceausescu ha portato sulle scene la cattura e l’esecuzione
dei coniugi regnanti in una decadente Romania; ne Il Tribunale del Congo ha unito testimoni,
vittime e autori della seconda guerra del Congo; in Orestes in Mosul ha riscritto l’Orestea
di Eschilo ricontestualizzandola nella guerra siriano-irachena contro l’esercito del Islamic State.
In ogni sua opera la potenza politica irrompe nella drammaturgia, mescolando la vita privata
e le relazioni umane mentre espone i nodi più incandescenti della realtà affrontata in un tempo
che mescola verità e finzione, documentario e creazione. Ed ecco una delle chiavi che forse
ci possono avvicinare all’opera del regista svizzero. La moltiplicazione dei piani della rappresentazione
diventa un potente dispositivo che ci interroga continuamente sui nostri desideri, sulle nostre
speranze e ricordi, sulla nostra condizione di esseri umani. E qui forse è la sua più potente forza
politica: l’interrogarci, il mostrarci chiedendoci, la forza di offrirsi senza giudizio, moralismo
o intenzione didattica. E quanto ne abbiamo bisogno qui in Italia, dove, ad esempio,
la possibilità di decidere della propria morte è ancora negata?

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