IL PAESE DEL BONUS PER TUTTI I MALUS NEL SEGNO DELL’AZZEGARBUGLI

di ENNIO SIMEONE – La vicenda dei parlamentari che hanno chiesto allo Stato (sottolineiamo: che l’abbiano ottenuto o meno è del tutto marginale, l’immoralità resta intatta) il contributo di 600 euro destinato ai lavoratori autonomi messi in ginocchio dalla crisi provocata dall’epidemia di coronavirus, vede aggiungersi oggi un altro capitolo al più sconcio paradosso all’italiana che si sia mai visto.

Ricordiamone brevemente le tappe.

1. Il quotidiano “la Repubblica” rivela che tra i richiedenti quel modesto ma necessario bonus destinato dal governo a coloro che ne avevano impellente bisogno per la sopravvivenza figurano anche 5 parlamentari benché beneficiari di una indennità che supera i 13mila euro mensili, oltre qualche migliaio di “politici di periferia” (alcuni titolari di consistenti indennità, ma altri, molto, solo di modestissimi gettoni da consigliere comunale di piccoli centri).

2. Unanime tuttavia l’indignazione e altrettanto unanime richiesta: «Fuori i nomi dei furbetti del bonus!», seguita immediatamente da nuova, conseguente e legittima ondata di indignazione lessicale: «Ma che furbetti?! Semmai furboni! Imbroglioni! ».

3. Dunque fuori i nomi! Ovvio, no? Facile! Sì… facile un corno. Qui siamo in Italia, nella “patria del Diritto”, oltre che del “dritto”. Il primo esponente politico a ricordarlo è il capo della Lega, il noto Matteo Salvini, quando scopre che dei 5 onorevoli beneficiari 3 appartengono al gruppo parlamentare del Carroccio. E allora, d’intesa con i suoi alleati, lascia partire gli strali del sospetto. Destinatario: il povero presidente dell’Inps, Tridico, colpevole di essere stato designato dai 5stelle. Il quale viene subito accusato di aver “soffiato” la notizia alla “Repubblica” per gettare discredito sugli eletti del popolo per aizzare l’elettorato in vista del prossimo referendum sul taglio dei parlamentari voluto e sostenuto dai pentastellati.

4. Tridico si difende come può, minacciando querele per diffamazione contro chi ingiustamente lo incolpa di violazione della privacy; ma la macchina mediatica, soprattutto quella televisiva, è invasa dagli urlatori anti-Inps. Che si spingono oltre: accusandolo di non aver esercitato il controllo sui milioni di persone che hanno presentato domanda pro-bonus con la stessa veemenza con la quale lo avevano accusato fino a pochi giorni prima di aver rallentato l’erogazione dei bonus per fare troppi i controlli sui richiedenti.

E in attesa di trascinarlo davanti al parlamento per “discolparsi” fanno loro stessi i nomi dei parlamentari richiedenti-bonus, annunciandone come punizione la non ricandidatura alle prossime elezioni.

5. Ma nel frattempo intervengono nella vicenda dalla cattedra dei talk show televisivi alcuni illustri legulei, primo fra tutti l’ex presidente della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, specializzatosi ormai nel cavalcare i cavilli anti-Conte. E, voilà, scopre che la colpa di questo immondo pasticcio va addebitata al governo, che ha “scritto male” il decreto per l’assegnazione del bonus, non avendo indicato esplicitamente un “tetto reddituale” per i richiedenti. Quindi sentenzia che i parlamentari che ne hanno beneficiato sono solo moralmente riprovevoli, ma non sono legalmente perseguibili. Immorali ma innocenti.

Quindi è inutile, anzi inopportuno, chiedere al presidente dell’Inps i nomi dei beneficiari dell’ingiusta (pardon: inopportuna) elargizione. E a Tridico non resta altro che ribadire davanti al parlamento non solo che non è stato lui a “soffiare” la notizia dei bonus ai 5 parlamentari, ma non può neppure confermare quei nomi ormai divulgati da tutti i mass media perché vincolato dalle norme sulla privacy. Norme che solo il Garante della privacy può autorizzarlo a violarlo.

E siamo giunti così al capitolo finale di questa strepitosa commedia all’italiana. Lo ha scritto proprio il Garante medesimo. Il quale ha così sentenziato: «Spetta all’Inps verificare caso per caso, previo coinvolgimento dei soggetti controinteressati, la possibilità di rendere ostensibili tramite l’accesso civico i dati personali richiesti – valutando anche la diversa posizione ricoperta dai titolari di cariche politiche elettive a livello nazionale e locale – alla luce della normativa e delle Linee guida dell’Anac, in conformità con i precedenti del Garante in materia di accesso civico. Il Garante si riserva di valutare in separata sede, anche a conclusione dell’istruttoria aperta nei confronti dell’Inps, eventuali altre ipotesi di comunicazione dei dati personali trattati in occasione della vicenda in esame».

Un testo che fa un baffo alle “sentenze” dell’Azzegarbugli di manzoniana memoria.

Commenta per primo

Lascia un commento