di RAFFAELE CICCARELLI*/ Nello strano periodo che stiamo vivendo ora, con l’incalzare degli eventi legati alla pandemia che ci ha colpiti tutti, tante notizie di diversa attualità passano quasi in secondo piano. Oltre a questo, poi, bisogna aggiungere che la forzata permanenza nelle nostre residenze ha dilatato di molto le tempistiche a nostra disposizione, per cui è anche con maggiore “calma” che diamo conto dei fatti che accadono, pur importanti, diversi da quelli legati al coronavirus. Non è stato, in ogni caso, un giocatore di secondo piano Joaquin Peirò, attaccante che ha diviso la sua carriera tra Italia e Spagna, che ci ha lasciato proprio in queste tumultuose ore all’età di 84 anni.
Fu l’Atletico Madrid la sua squadra di elezione, ai Colchoneros si trasferì dal Real Murcia dove, al primo anno da professionista, aveva segnato quindici reti. Con la maglia bianca e rossa dell’Atletico giocò per sette anni segnando novantatré reti e soprattutto attirando le attenzioni dell’Italia, dove si trasferì indossando la maglia granata del Torino. Sono le due stagioni all’Inter che, però, lo consegnano alla storia. Nel biennio tra il 1964 e il 1966 vinse due scudetti, che si andavano ad aggiungere ai due vinti con l’Atletico Madrid (più la Coppa delle Coppe del 1962, sempre in biancorosso), ma soprattutto la Coppa dei Campioni del 1965. Qui il suo nome si scolpì nella memoria degli sportivi.
La magia di Peirò. Capitava che i nerazzurri fossero in grande difficoltà nella semifinale di andata contro il Liverpool, perché ad Anfield la squadra di Habla Habla Herrera aveva perso tre a uno. A San Siro, nel ritorno, occorreva l’impresa, ed essa arrivò, la rimonta si completò con il tre a zero di Giacinto Facchetti dopo che era stata iniziata da Mario Corso, ma fu un gol proprio di Peirò a renderla concreta, un gol anche strano: capita, infatti, che il portiere inglese Lawrence si attardi, palleggiando, nel rinvio del pallone non accorgendosi dell’attaccante spagnolo rimasto nei suoi paraggi il quale, con un colpo d’astuzia gli ruba il pallone e sigla il due a zero che già vale la clamorosa qualificazione, entrando nella leggenda, completata con la vittoria della Coppa in finale contro il Benfica (uno a zero, Jair).
Il resto della carriera. Nonostante la vittoria, bissata dall’Intercontinentale contro l’Independiente di Avellaneda con il gol in apertura nel tre a zero finale, il nerazzurro gli sta stretto anche per la concorrenza di Jair e Luisito Suarez che gli levano spazi, e allora si trasferisce alla Roma, dove gioca altre quattro stagioni e chiude la sua carriera agonistica, vincendo in giallorosso una Coppa Italia (1969). Onesta la sua carriera di allenatore in Spagna, sempre in squadre di seconda fascia, per quello che è passato alla storia per la furbata contro il Liverpool.
*Storico dello Sport
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