Il batterista dei “Pooh” Stefano D’Orazio è morto per il covid. Aveva 72 anni. Aveva scritto anche quella che sarà la prossima sigla del “Processo del lunedì”

Il mondo della musica è sotto shock per lamorte di Stefano D’Orazio, storico batterista dei Pooh. La triste notizia è stata data da Bobo Craxi su Twitter e rilanciata in tv stasera durante l’edizione di “Tale e quale show” su Rai 1 (condotta, in assenza di Carlo Conti, in clinica per covid, da Loretta Goggi, Giorgio Panariello e Vincenzo Salemme). “Apprendere della sua scomparsa così è stato un trauma. Non sapevo che avesse una malattia pregressa. Il Covid ha colpito ancora”, ha detto Loretta Goggi.

D’Orazio, 72 anni, non aveva figli, ma aveva sposato il 12 settembre 2017, nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno, la compagna Tiziana Giardoni, conosciuta dopo aver avuto storie d’amore con Lena Biolcati e con l’annunciatrice Emanuela Folliero.

La sua è stata una. straordinaria carriera di musicista. Stefano D’Orazio l’8 settembre 1971 entra a far parte dei Pooh, sostituendo Valerio Negrini. Da quel momento comincia una grandissima avventura al fianco dei suoi compagni: Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian e Riccardo Fogli. Per i Pooh è stato batterista, voce e paroliere. Ha interpretato e scritto Tropico del Nord, La mia donna, Il giorno prima, Se c’è un posto nel mio cuore. Quest’ultima canzone sarà anche la sigla del Processo del lunedì.

Bobo Craxi ha dato per primo, su Twitter, la notizia della sua morte. Intervistato nella notte su Rai Radio2 nel programma “I Lunatici“, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, ha spiegato: «Ho dato la notizia accidentalmente, ho scritto di getto. Stefano aveva sofferto molto negli ultimi anni, è stato poco bene, negli ultimi due o tre anni. Io lo conoscevo da trent’anni, ma negli ultimi venti ci siamo anche molto frequentati, nel periodo in cui lui ha un po’ abbandonato la carriera artistica piena. Non rinnegava affatto la cosa di essere uno dei Pooh, ma aveva tentato anche una via diversa, sapendo che nell’arte è importante essere poliedrici. Amava molto scrivere, si ritirava a Pantelleria e scriveva. I Pooh sono stati e sono il gruppo musicale più conclamato e più amato per la loro verve. Stefano ha sofferto molto il distacco da quell’esperienza, ma ha maturato anche l’idea di essere un uomo capace di fare altro. Era il motore del gruppo, quando hanno ripreso a fare alcune cose un paio d’anni fa, ha accettato di farlo di buon grado. Doveva molto ai Pooh. Io ho dato la notizia, pensando che fosse già pubblica, non mi sono neanche posto il problema in se. E’ come se avessi scritto un messaggio in una bottiglia. Sono scosso perché quando è stato ricoverato si pensava che potesse reagire alle cure che gli avevano somministrato, ho sempre pensato che comunque alla fine era un uomo forte e giovanile. Aveva una grande capacità di aggredire i problemi, era un uomo capace di risolvere i problemi, da questo punto di vista non era un artista, che spesso sono abbastanza stravaganti, era un uomo molto concreto. Aveva una romanità diversa, passatemi questo, non era fatalista. Aveva vissuto lungamente al nord, viveva a Bergamo, aveva applicato tutta una cultura manageriale alla sua professione, era una specie di perno nella compagnia. Stefano era ricoverato da qualche giorno, aveva problemi di salute.
L’ultima cosa che ha fatto Stefano è scrivere un testo molto bello quando accadde a Bergamo la tragedia che conosciamo legata al coronavirus. Aveva scritto un testo toccante, di speranza, che voleva rendere universale. Era molto contento di poter dare una mano, non gli sembrava di aver fatto una cosa retorica, si teneva sempre abbastanza lontano dalla retorica. In lui e nei Pooh c’è sempre stato un elemento di generosità. Amava i Pooh, amava questo gruppo, amava un rapporto durato quarant’anni».

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