Il 26 maggio: né un sondaggio né un referendum

di NUCCIO FAVA –Nelle precedenti elezioni europee c’eravamo abituati a considerarle quasi riscontro e verifica del peso, nel proprio paese, di ciascuna forza in campo. Clamoroso il caso del Pd di Matteo Renzi: superò il 40% (ma si andò al voto 25 giorni dopo l’elargizione degli 80 euro a 10 milioni di persone), ma cominciò subito dopo una progressiva caduta, culminata, dopo la sconfitta del 4 marzo 2018, nel clamoroso incitamento alla nascita dell’innaturale bicolore giallo-verde, che vive tra crescenti battibecchi e ripicche quotidiane che accrescono inquietudine e sconcerto, accentuano la sfiducia nell’Italia soprattutto nell’area dell’ Europa.

Questo governo cerca di darsi un ruolo (anche nella tragedia libica) con i tentativi del presidente Conte, costretto a tenerlo in equilibrio negli scontri tra i due vice, che ormai si accapigliano su tutto. Con una singolarità anche in tema di Europa: il capo leghista, che, sovranista ad oltranza, abbracciato a Marine Le Pen e ad Orban, si ripromette di fare sfracelli a Bruxelles e promuovere in ogni modo l’Europa delle Nazioni. Non si capisce bene se con l’euro o senza.

Il campo pentastellato, diversamente da Salvini, immagina di dare vita ad un nuovo schieramento né di destra, né di sinistra e quasi da battitore libero, lottare contro i poteri forti e gli organismi finanziari internazionali. Frenando appena in tempo dopo lo scivolone dell’incontro con i gilet gialli francesi.

Queste posizioni contrapposte si accompagnano ad un costante orientamento di contrasto con le autorità europee anche in termini di linguaggio e di scarso civismo diplomatico e personale. Si ricorre continuamente all’alibi di attribuire agli altri, i governi di prima, tutte le difficoltà e i problemi da affrontare. Con miopia non minore si scarica ogni colpa sulla UE senza la capacità di stabilire un dialogo costruttivo e di formulare proposte, iniziative che mettano in luce le ragioni e la capacità propositiva dell’Italia.

Anche sull’enorme e delicatissima questione dei migranti si corre il rischio di praticare una politica di chiusura, senza considerazione alcuna degli aspetti di elementare umanità e di diritto alla vita. In questo caso, e anche in altri, le istituzioni si sono mostrate sorde e inadeguate e non hanno saputo corrispondere alle loro responsabilità. Perciò serve un rinnovamento profondo dell’Europa, una sua riforma istituzionale e politica stando però sempre attenti a non buttare il bambino con l’acqua.

Ricostruire e rinnovarsi sarà la responsabilità del nuovo parlamento eruropeo, la spinta anche ideale di quanti hanno davvero a cuore il futuro dell’Europa. Soprattutto per i nostri giovani che apprezzeranno finalmente la portata storica irrinunciabile di una idealità europea, a condizione che sappia anche incarnare concretamente la loro fame di lavoro, di cultura, di crescita e di lotta alla corruzione in ogni campo.

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