I motivi non confessati delle “divaricazioni” tra Giorgetti e Salvini

di SERGIO SIMEONE* –  Ciò che sta succedendo oggi nella Lega somiglia molto a ciò che è successo pochi giorni fa in Forza Italia: c’è una parte del partito, quella che fa capo a Giancarlo Giorgetti, che non  condivide la linea di Salvini, la sua alleanza con i partiti illiberali europei (quelli di Lepen in Francia, Orban in Ungheria e Morawiecki in Polonia);  vorrebbe una scelta nettamente europeista e conseguentemente una leale collaborazione con Draghi. Questi conflitti nascono da  una situazione tipicamente italiana. Negli altri Paesi europei  i partiti sovranisti ed euroscettici sono chiaramente distinti dai partiti  conservatori, ma liberali ed europeisti, e mai stringerebbero alleanze tra di loro. In Italia invece  non solo troviamo alleati partiti liberali e sovranisti, ma addirittura, nell’ambito di uno stesso partito troviamo una componente liberale ed una sovranista.

Non sempre è stato così. Nella prima Repubblica c’era una precisa  demarcazione costituita dal cosiddetto arco costituzionale, che escludeva la possibilità  che uno dei partiti che aveva votato a favore della Costituzione repubblicana si alleasse con un partito, come il MSI, che quella Costituzione non aveva votato. Era tanto forte e sentito questo discrimine che, quando Tambroni, nel 1960, tentò di formare un governo che si reggeva sull’alleanza tra DC e MSI, ci fu in tutto il Paese una grande sollevazione popolare che lo costrinse a dare le dimissioni.

Chi ha cancellato quella demarcazione è stato Silvio Berlusconi, che nel 1994 si alleò con Alleanza nazionale. E, si badi bene, lo fece prima della svolta di Fiuggi e prima che il suo segretario Fini si recasse in Israele e dichiarasse che il nazismo ed il fascismo erano i male assoluto. E’ da allora che la destra italiana è diventata come la hegeliana notte in cui tutte le vacche sono nere, con mescolamento indistinto di tutte le sue anime, da quelle più liberali a quelle autoritarie e razziste, e addirittura con ammiccamenti a forze extraparlamentari di ispirazione neofascista.

Ora, con il governo Draghi che fa da catalizzatore del processo, sta cominciando  a rialzare la testa una destra liberale ed europeista. Probabilmente dietro questa riemersione c’è anche la spinta della grande impresa del nord (esercitata soprattutto su Giorgetti) che vede con terrore profilarsi la possibilità che nel 2023 l’Italia si dia un governo guidato da un sovranista, certamente non gradito a Bruxelles , che dilapiderebbe tutto il patrimonio di fiducia costruito dall’ex presidente della BCE presso le cancellerie e sui mercati.

Chi teme di più una spaccatura del centrodestra e cerca perciò di impedire spinte centrifughe è Silvio Berlusconi, il quale, a quanto pare, coltiva ancora qualche l’ambizione di ascendere al Quirinale ed ha bisogno perciò di avere in Parlamento uno zoccolo duro costituito da tutti i parlamentari del centrodestra uniti sulla sua candidatura, a cui sommare altri voti da acquistare con i suoi ben collaudati metodi. Perciò un momento assai importante sarà la prossima elezione del capo dello Stato. Perché sarà l’occasione per verificare la compattezza del centrodestra e perché, dopo il crollo quasi certo delle illusioni del cavaliere, si vedrà se i Brunetta, Carfagna, Gelmini, Giogetti, avranno la forza ed il coraggio di condurre una battaglia per separare destra liberale e destra sovranista.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche irigente del sindacato Scuola della Cgil

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