Governo giallo-rosso: non un contratto ma un programma. Questa la vera “discontinuità”

di SERGIO SIMEONE*– Giuseppe Conte, dice  Zingaretti ai 5 stelle,  è un vostro uomo. Tanto vero che non solo lo avete indicato – come è vostro diritto in quanto partito di maggioranza relativa in parlamento – ma lo avete preteso con forza facendone una questione dirimente. Ed allora non si  capisce perché ora volete anche un vicepresidente. Credo che il ragionamento sia corretto, ma non mi fermerei qui, perché la questione Di Maio  non riguarda solo la distribuzione delle cariche, ma investe la natura politica del governo che sta per nascere.

Per capirlo facciamo un passo indietro. Già verso la fine del 2018, quando cominciarono ad affiorare i primi dissapori tra Lega e 5 stelle io scrissi un articolo in cui evidenziavo che la debolezza del governo giallo-verde nasceva dall’essere fondato su un contratto sinallagmatico, l’unico che potesse tenere insieme due contraenti che avevano obiettivi programmatici diversi o addirittura contrapposti. Esempio: io sono disposto a votare la flat tax, pur sapendo che si tratta di un regalo fatto ai ceti più ricchi ai danni dei più poveri che io dovrei tutelare, se tu in cambio mi voti il reddito di cittadinanza anche se ritieni che sia una spudorata misura assistenziale.

Questo tipo di accordo comportava che i veri motori dell’azione governativa fossero i due vicepremier  portatori degli obiettivi contrapposti e che al premier toccasse un ruolo di mediatore tra i due.

Questa impostazione è saltata  provocando la crisi di governo e Mattarella ha fatto capire che  vuole che si torni allo spirito ed alla lettera della Costituzione. La figura dei mediatore, infatti, è stata chiaramente mutuata  dal commercio del bestiame, non dalla Costituzione, che invece parla del Presidente del Consiglio, come di colui che dirige la politica del governo e ne è responsabile. Pretendere ora che vi siano due vicepremier, uno per ogni partito alleato, vuol dire ripetere lo schema (fallito) del contratto sinallagmatico. Questo nuovo governo, se vuole avere un futuro (ma io ho le stesse paure espresse suquesto giornale da Stefano Clerici) si deve fondare invece (proprio come ha assicurato Di Maio dopo il secondo giro di consultazioni  all’uscita dallo studio del presidente Mattarella) su un programma con obiettivi condivisi (magari pochi, magari limati in modo da tener conto delle diverse sensibilità, ma condivisi), in modo che tutti possano remare nella stessa direzione.

*Sergio Simeone,docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente della Sindacato Scuola della Cgil

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