Sarebbe stato ucciso per essersi fatto portavoce di alcuni braccianti vittime di caporalato il pakistano di 32 anni, Siddique Adnan, assassinato a coltellate la sera del 3 giugno a Caltanissetta nel suo appartamento, in via San Cataldo.
E’ questa la pista più battuta dai carabinieri che nei giorni scorsi hanno fermato per il delitto quattro pakistani e un quinto per favoreggiamento. Secondo le indagini, il pakistano avrebbe raccolto le lamentele di alcuni suoi connazionali che lavoravano nelle campagne e avrebbe accompagnato uno di loro a sporgere denuncia; prima dell’omicidio la vittima avrebbe subito minacce. Ieri è stata eseguita dal medico legale Cataldo Raffino l’autopsia sul cadavere. Cinque i fendenti: due alle gambe, uno alla schiena, alla spalla e al costato. Quest’ultimo è risultato quello fatale.
Trovata poche ore dopo il delitto, dai carabinieri, anche l’arma utilizzata: un coltello di circa 30 centimetri. Il gip Gigi Omar Modica ha interrogato ieri i quattro fermati per l’omicidio e li ha arrestati. Un quinto è stato rimesso in libertà con l’obbligo di firma. Secondo la ricostruzione dei carabinieri la vittima, che per lavoro si occupava di riparazione e manutenzione di macchine tessili, aveva presentato nei confronti dei suoi carnefici denuncia per minaccia Adesso sta prendendo piede l’ipotesi che gli aggressori operassero una mediazione, per procacciare manodopera nel settore agricolo, tra datori di lavoro e connazionali.
In Italia da 5 anni. La famiglia chiede giustizia – Adnan Siddique era arrivato in Italia dal Pakistan cinque anni fa con la speranza di costruirsi un futuro. In Pakistan viveva con il padre, la madre e altri 9 fratelli a Lahore. La famiglia riponeva nell’emigrazione di Adnan in Italia tante aspettative. A Caltanissetta lavorava come manutentore di macchine tessili e si era fatto degli amici. Quasi ogni giorno passava dal bar Lumiere nel centro storico, ordinava un caffè o una coca cola. E con il suo carattere limpido, educato, gentile, si era fatto subito amare dai proprietari: Giampiero Di Giugno, la moglie Piera e il figlio Erik. Tanto che a volte lo avevano anche invitato a pranzo da loro. In quelle ore insieme, Adnan aveva raccontato dei suoi sogni ma anche delle sue preoccupazioni per via di un gruppo di connazionali che lo tormentavano. “Una volta è stato pure in ospedale – racconta la famiglia Di Giugno – lo avevano picchiato”.
Jaral Shehryar, pakistano di 32 anni, titolare di una bancarella di frutta e verdura, conferma. “Era bravissimo, gentile – afferma – quelli che lo hanno ucciso no. Si ubriacavano spesso. Qualche volta andavano a lavorare nelle campagne ma poi passavano il tempo ad ubriacarsi e fare baldoria”. Adnan si era confidato con il cugino, che vive in Pakistan. “Aveva difeso una persona e lo minacciavano per questo motivo – riferisce Ahmed Raheel – Voleva tornare in Pakistan per la prima volta dopo tanti anni per una breve vacanza ma non lo rivedremo mai più. Adesso non sappiamo neanche come fare tornare la salma in Pakistan. Noi siamo gente povera, chiediamo solo che venga fatta giustizia”. (Ansa)
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