FESTA DEL CINEMA/ La precarietà in “Sole cuore amore” di Vicari

di LUCIANA VECCHIOLI-  “Sole cuore amore” di Daniele Vicari è la prima pellicola italiana della Selezione ufficiale che sbarca alla Festa del Cinema di Roma. Un film insolito per il regista di “Velocità massima” e “Diaz”. Un dramma tutto al femminile con al centro la vita di due donne ai tempi della crisi economica. A fare da cornice, la periferia romana, da Ostia a Tuscolana, per raccontare un mondo animato dalla più assoluta precarietà, dall’incertezza e dalla solitudine.

Isabella RagoneseEli (Isabella Ragonese) non ha mai conosciuto i suoi genitori, ora è sposata, ha quattro figli, il marito (Francesco Montanari) disoccupato, un lavoro da barista che la impegna tutto il giorno per un misero stipendio di 700 euro al mese. Ogni mattina si alza alle quattro e mezza, ci vogliono due ore per arrivare al bar sulla Tuscolana. Una vita faticosa, piena di rinunce, affrontata tuttavia con una certa serenità che la condurrà allo sfinimento. Vale (la danzatrice Eva Grieco) invece è sola, si esibisce in coppia in varie discoteche del litorale romano. Una occupazione da performer scelta ad un passo dalla laurea, che le dà una certa indipendenza economica. Le due sono amiche per la pelle, riescono a sostenersi a vicenda, Vale è sempre pronta ad aiutare la sua Eli. Tutto questo però ad un certo punto non basterà più.

Film dai toni forse eccessivamente melodrammatici, un po’ fuori dai canoni del cinema di Vicari che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Una rappresentazione della quotidianità probabilmente troppo frammentata, che fa intuire fin dall’inizio (grazie anche ai ritmi musicali) quale sarà l’epilogo. Il merito, comunque, di aver portato sul grande schermo il profondo disagio che sempre più larghe fette di cittadini stanno vivendo in questi anni.

“’Sole cuore amore’ è un film semplice, come il verso della canzone da cui è tratto il titolo – dice Vicari alludendo al brano di Valeria Rossi – Come semplici sono le esistenze di cui racconta la storia. La vita quotidiana di milioni di persone che non ricevono sicurezze dall’appartenenza sociale. La vera tragedia della nostra epoca risiede nel senso d’impotenza generale che ci attanaglia e, per una sempre più larga fascia della popolazione, nell’impossibilità di realizzare obiettivi minimi”.

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