In che modo la pandemia e gli interventi messi in campo per contenerla – il lockdown in primis – hanno inciso sull’equilibrio mentale dei singoli? C’è stato un aumento della sofferenza o, al contrario, le persone hanno gestito in modo resiliente la situazione, benché del tutto inedita e fonte di stress? A parlarne al Festival della Scienza Medica di Bologna (i cui eventi saranno trasmessi on line fino al 17 ottobre) stato Giovanni de Girolamo (foto), uno dei più accreditati esperti di epidemiologia dei disturbi mentali, Direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria Epidemiologica e Valutativa all’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia.
Diverso il rigore dello Studio Lora condotto in Germania per 8 settimane durante il picco pandemico su un campione di 523 persone già analizzato nei tre anni precedenti: “in questo caso l’84% degli intervistati non ha riferito nessun malessere, anzi un miglioramento dello stato psicologico nei mesi del lockdown; l’8% ha denunciato un iniziale disagio poi rientrato; solo il restante 8% si è mostrato vulnerabile di fronte alle mutate condizioni di vita”. Risultati che non sorprendono, secondo de Girolamo: altri studi condotti in passato su popolazioni sottoposte a gravi eventi traumatici (uragani, guerre, attacchi terroristici come quello alle Torri Gemelle) dimostrano che non necessariamente le popolazioni di fronte a tali accadimenti soffrono di malessere psicologico, con la sola ovvia eccezione dei disturbi post traumatici da stress che riguardano chi è stato più esposto, per aver sperimentato lesioni fisiche o la morte dei propri cari. “A far male non è la quantità di stress a cui si è esposti, bensì il modo in cui esso viene processato mentalmente – ha detto de Girolamo. – Anzi, le situazioni stressanti possono rinforzarci psicologicamente – la cosiddetta “stress-related growth” – e il confronto con una condizione collettiva di stress può rafforzare un sentimento di appartenenza e destino comune e riorientare i nostri rapporti, a partire da nuove priorità e atteggiamenti più positivi”.
La resilienza insomma è una reazione più naturale di quanto si possa pensare: “uno studio condotto in 6 dipartimenti della Lombardia ci ha mostrato una diminuzione dei ricoveri psichiatrici nei mesi del lockdown, numeri che possono sì essere legati alla paura dei contagi in ospedale, ma anche alla diminuzione dei fattori di stress quotidiano che scatenano il malessere”. Un malessere che de Girolamo lega alla cosiddetta “infodemia”, l’eccesso di informazioni, non sempre vere o verificate, cui in questi mesi siamo stati sottoposti: “Anche l’esplosione di pubblicazioni scientifiche ha reso difficile l’orientamento sia ai professionisti che tanto più, al pubblico “laico”, diventando fonte di ansia”.
La vera sfida del presente e del futuro è, secondo de Girolamo, “da parte delle autorità governative e sanitarie battersi per un’informazione sobria, accurata e verificabile: lì si devono orientare gli sforzi per evitare che l’informazione, invece di produrre effetti benefici, ad esempio promuovendo l’adozione di comportamenti di cautela, diventi fonte di panico. Credo sia una delle prossime frontiere verso cui la ricerca si deve orientare, anche nella prospettiva di nuove possibili pandemie”.
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